L’idea di girare per Roma in cerca del cocktail perfetto era così cinematografica che il cocktail non poteva che essere uno solo. Il Martini.
Quella coppetta triangolare che campeggia sui banconi di tutti i migliori film, tra le mani eleganti di donne ricche di fascino e uomini misteriosi. Ma cosa c’entrano il sex appeal di James Bond, la sfrontatezza di Marilyn Monroe e la classe di Audrey Hepburn (che, infatti, in Colazione da Tiffany inventa la sua personale versione del Martini cocktail trasformandola nel White Angel) con un tour in stile Vacanze romane? Assolutamente nulla.
Le fantasie nascono però così, agglomerando immagini di dita affusolate, eleganti abiti neri e banconi del bar anni ‘30. Quindi, se anche voi amate farvi guidare dall’immaginazione, ecco come scoprire Roma seguendo un’idea di bellezza che si reinventa costantemente: nel bicchiere, nel locale e, soprattutto, in quattro angoli di Roma dal carattere diverso e sempre unico.
Le mie visite a Roma non sono abbastanza assidue dall’esimermi di sentire la necessità di passare, appena arrivata, a dar uno sguardo alle vestigia antiche. Colosseo, Fori, Circo Massimo: tutto il pacchetto. Ecco perché il primo locale in cui vi porto è una villa in stile liberty a due passi dal Circo Massimo con un terrazzo da Grande Gatsby. Sì, in questo viaggio inventato attraverseremo anche le aree storiche senza porci troppi problemi, seguendo il filo conduttore della bellezza.
Marco Martini è un ristorante con una stella Michelin e sicuramente non sbaglierete a fermarvi per la cena nel giardino d’inverno. Io però mi sono concentrata sull’aperitivo, che già da solo è un’esperienza intensa.
Lorenzo e Jean Paul, i bartender, mi accolgono con una calorosità delicata che mixa perfettamente la romanità con l’eleganza del posto. Mentre mi preparano la loro versione del Gibson Martini (quello con la cipollina in agrodolce al posto dell’oliva), mi raccontano come la scelta dei cocktail in menu sia studiata in simbiosi con la cucina, applicando ai drink la stessa ricerca che viene riservata ai piatti. Ci sono cocktail con guarnizioni gourmet tipo osomaki e altri che utilizzano ingredienti inaspettati, come il gorgonzola con il whiskey torbato. Tutti vengono cambiati secondo la stagionalità, proprio come il menu in sala.
Del resto, vedo tutta la ricercatezza della preparazione anche nel mio bicchiere, costellato da cristalli rossi e aciduli di aceto di melograno e Campari. Il vermouth Carlo Alberto Extra Dry “in & out” trattato con il cipollotto dà una sensazione minerale, mentre la ruvidezza amara dei cristalli enfatizza il sapore di Elephant Gin, che in questo caso si fa dolce per il trattamento alla Gibson. Sulla terrazza sorseggio le infinite sfumature di gusto sorvegliata da una statua di Superman e accompagno il drink con delle polpette di mantecato di baccalà che portano la stella in terrazza.
Insomma, sarà un tour istintivo, ma è iniziato con il botto.
Sono una persona di sapori forti, che ama i contrasti. Allora dopo l’antica Roma si prende un taxi e si va a Centocelle. Qui il quartiere sta rinascendo grazie alla scena food & drink e uno dei motivi per cui questo è possibile è proprio RU.DE.
Il locale sembra il set di un film, con i suoi neon colorati e infinite Instagram opportunities e i menu sono divertenti viaggi nel tempo, per cui potreste trovarvi nei lisergici anni ’70 o essere sbalzati in un futuro in cui Alexa ha portato il mondo alla catastrofe (vi consiglio di iniziare l’esperienza direttamente dal loro sito).
Ma la vera forza di RU.DE è che Cristian Ricci e Marco Zampilli, i due proprietari di questo street bar, dopo esperienze in altri locali, hanno deciso di tornare a casa e portare a Centocelle la massima qualità senza dimenticare la cosa più importante: che in un locale ci si deve sentire a proprio agio. Vogliono far bere bene, ma abbassare i toni del discorso intorno alla mixologia, perché “il bar è spensieratezza” - e io non posso essere più d’accordo.
Non mi stupisco neppure di sentirmi subito a casa mentre chiacchieriamo della loro missione di portare gente da fuori verso il loro quartiere e di abituare a bere bene, senza educare, ma ispirandosi all’American Bar, dove il cliente può ordinare qualunque cosa, senza tabù modaioli, ridando dignità ai vecchi drink con cui i millenials sono cresciuti. Back to the trash! Ma con stile.
Pensiero che condividono con i barman che mi preparano un Martini Sour davvero inaspettato. Citadelle Gin, Diamante Acqua di Cedro di Vecchio Magazzino Doganale e bitter all’oliva: i sapori sono scomposti e resi in chiave sour, con la parte acida e dolce del vermut data dal sour mix preparato con fake lime e sciroppo di zucchero.
Qui la cucina non sarà stellata ma è semplicemente wow, con ravioli funghi e pak choi, tori di pollo con mirin e sale, noodle di verdura rivisti con prodotti local. Ok, forse le star del cinema non avrebbero mangiato così tanto, ma peggio per loro.
A Roma, si sa, tutti vogliono il Pigneto: locali pieni di computer di giorno che si trasformano senza soluzione di continuità in aperitivi imbanditi e poi si spostano fino alla prossima festa per tutta la notte. Per restare in zona bevendo davvero bene bisogna però staccarsi la calamita pignetocentrica e fare una passeggiatina di un quarto d’ora verso San Giovanni. Qui c’è un posto che, senza ostentare, vi conquisterà di dettaglio in dettaglio, il Blind Pig.
Piastrelle verde bottiglia che richiamano i pub londinesi ma con aggiunta di luce che rende tutto fresco, un mix di turisti (di quelli che hanno studiato e scelgono con cura dove andare) e gente del posto, un menu che gioca con le parole, i colori e la creatività.
Mi siedo al bancone, seguo il lavoro precisissimo dello staff nell’ora di punta e non posso che ordinare un Mel Gibson. Anche qui si gioca con il Gibson Martini, ma andando a gamba tesa sul gusto: l’Elephant Gin viene infuso con l’erba cipollina estrapolando tutto il gusto del vegetale. Il vermut “In&out” fa quel che può, ma è la mela in agrodolce a spiazzare alla fine il palato, lottando con la cipolla per decidere chi prevarrà. Mi avevano avvertito che sarebbe stata un’esperienza forte e non posso che confermare.
Se volete giocare con i sapori ma evitare lo schiaffo di cipolla, seguite subito il consiglio di Egidio Fidanza (socio di Marco Picciotti e Mattia Ria) e provate un In fondo al Mar tini: qui lo sherry prende il posto del vermut, restando più dritto e secco, mentre Gin N.209 è ammorbidito da un tocco di acqua di mare.
E con la salsedine tra le papille gustative e l’umami degli spettacolari gyoza, anche questo quartiere si aggiudica un posto nel mio nuovo immaginario cinematografico romano.
“E se potessi sognare ad occhi aperti?” Questo è lo slogan di REM, a Trastevere. Avrei potuto finire il mio strambo Martini cocktail tour di Roma in altro modo? Non credo proprio.
Quindi prenoto in questo minuscolo locale (un ibrido tra uno street bar e uno speakeasy) affascinata dal concept che ruota intorno alle fasi del sonno: i drink cambiano in base all’ora di arrivo e alla fase di sonno correlata, cosa che tradotta vuol dire una drink list (si chiama Hypnogram) che cambia quattro volte a sera passando da Light sleep, ad Awake, a Deep sleep, a REM.
I menu però non sono la sola cosa a cambiare. Musica, luci ed atmosfera passano da una fase all’altra per cercare di far percepire al cervello le sensazioni che si provano dormendo, ma restando sempre svegli mentre la notte romana, fuori, poco a poco si addormenta.
Quando ordino il mio Martini siamo in fase Awake. Il barman mi porta al tavolo il bicchiere con il tradizionale liquido trasparente, che qui è a base di London dry gin, vermut dry e un tocco (lievissimo) di camomilla e passiflora. Al tavolo finisce la preparazione facendomi scegliere tra zest all’arancia o al limone e poi mi porge due enormi mani bianche di plastica. Al loro interno la pillola rossa e la pillola blu di Matrix si sono trasformate in quello che sembrerebbero due ciliegie dei rispettivi colori. Scelgo rosso, fedele al classicismo anche in questa chiave futuristica.
Qui però nulla è come sembra e mentre passiamo alla fase Deep Sleep spinti dalle note techno del DJ, il mio drink è finito. Mordo la “ciliegia” e lei mi esplode in bocca: era un cocktail a base vermut sferificato. O che fosse un sogno?
Non vi resta che fare il vostro personale tour assurdo di Roma e scoprirlo da voi.