Mettiamo subito in chiaro una cosa: l’Americano perfetto non esiste, anzi, credo che esistano infinite varianti di Americano, grazie alla moltitudine di ingredienti a disposizione, da cucire ad hoc al palato di ognuno di noi.
Una breve digressione storica: che cos’è un Americano? Arnaldo Strucchi scriveva nel 1906 che – “era uso in quel di Torino (attenzione, Torino. Ndr) all’ora dell’aperitivo, bere un vermouth all’americana” - che prevedeva una dose del famoso vino fortificato piemontese con qualche goccia di bitter o amaro (che all’epoca voleva intendere anche gin o cognac). Le dosi erano ben lontane dalle odierne, poco il ghiaccio nei bicchieri e i calici erano molto più piccoli – come gli attuali da cordiale - quindi, quella di allora era più una moda che una ricetta.
Quest’ultima debutta in Italia nel 1920 ne “Il manuale del barman” di Ferruccio Mazzon, barman di Trieste che di americani, in carne e ossa, ne vedeva passare tanti per il grande traffico navale che aveva quel porto – dall’impero austroungarico prima e italiano poi. Il buon Ferruccio scrive una ricetta espressa in litri dove il vermouth è codificato in litri 20, il cognac in litri 1 e il bitter e le tinture amare in appena pochi decilitri: in sostanza, sempre “un vermouth con qualche goccia di bitter”.
Dal 1930 compaiono le prime ricette contemporanee: le dosi dei due ingredienti erano più simili tra loro, con la soda. I bicchieri diventavano più grandi e il mondo del bere progredì con i tempi.
Tornando a noi, Compagnia dei Caraibi è sempre stata attenta alle evoluzioni del mercato e alle nuove scommesse da inserirci.
Il suo pacchetto di amari e bitter è invidiabile, con prodotti storici, rielaborazioni di antiche ricette e con brand nuovi e innovativi, grazie all’intuito dei produttori.
Come il Roger Bitter Amaro Extra Strong, un autentico amaro da dopo pasto, della famiglia Vecchio Magazzino Doganale, ma da bere anche prima, miscelato. Il suo carattere ruvido e spigoloso lo rende perfetto per gli amanti dei gusti forti, magari bilanciato con un Vermouth gentile come Giovannoni Rosso de Mayo che mitiga le asperità di Roger; ricordatevi di colmare il bicchiere con una soda bella briosa.
Washington, amaro di arance ed erbe amaricanti, fortemente agrumato, è perfetto per i citrus lovers. Da mixare in due varianti, con Vermouth Carlo Alberto White in una versione ambrata, fresca e brillante o con
Giovannoni Secco per un mix floreale e più dry. Ma Washington si può anche shakerare vigorosamente con solo 4.5 gocce di Bitter Rouge Sixty, che donano profondità, struttura e colore, per un perfetto bitter agitato e freddo, fuori dall’ordinario.
La linea Bitter Rouge permette al bartender e al consumatore di godere di preparazioni molto diverse, grazie alle due versioni Rouge Red e Rouge White. La prima con standard visivi più canonici, un rosso acceso per accendere i fari all’ora dell’aperitivo, ma sentori freschi di menta per riportarci in Piemonte, dove viene prodotto, perfetto miscelato con Vermouth Carlo Alberto Red. La versione White è perfettamente trasparente e, liberandoci dal vincolo cromatico, mantiene le caratteristiche organolettiche da bitter, con delle note speziate esotiche e stuzzicanti, inutile dire che il matrimonio con Vermouth Carlo Alberto White ”sa ‘dda fare”.
Per uno splash o poco più di bitter, o di amaro, si può osare con Valhalla, scandinavo, dalle forti note balsamiche e fresche, con una gradazione ben superiore ai bitter moderni, 35°. Ma può dare grande soddisfazione.
Altra provocazione in tema “Americano”. Perché non sostituire in tutto, o in parte, il vermouth (per intenderci, la parte dolce) con un liquore dell’altro mondo? Parlo di Asahara Yuzushu Yuzu, dal Giappone, a base di sakè infuso con lo yuzu, agrume raro e molto apprezzato, in diverse altre versioni, come quella con l’umeshu (tipica pugna nipponica, usata ancora acerba). Ma c’è anche il Sakimoto Shuzu Awamori Yonaguni, distillato di sakè, perfetto per fortificare una variante inedita e più corroborante di americano.
Dal catalogo, anche prodotti già complessi, che hanno in proprio il DNA “Americano” e, seppur con differenti botaniche, vini, gradi alcolici e zuccherini, sono già in perfetto equilibrio con la sola aggiunta di soda.
Parliamo sicuramente di Dopolavoro, esercizio da bere che nasce dall’unione di infusi agrumati, infusi amari e vino fortificato, con una nota speciale di fiori di arancio: allungarlo con soda o bollicine, anche di vino, è una naturale evoluzione.
Stessa sorte per FraCk, Amaro serale No alla Moda, con base di vino moscato, passito cotto e ridotto sul fuoco, e sentori profondi e unici che si lasciano ben accompagnare da un’acqua frizzante bella briosa, per aprirsi al meglio.
Elephant Gin Negroni e Sabatini Negroni fanno la parte del fratello maggiore dell’Americano o il primogenito di quella base dalla quale nasceranno innumerevoli cocktail bevuti ancora oggi, in ogni angolo del pianeta.
Elephant Gin si unisce nelle canoniche tre parti uguali di vermouth, bitter e gin, con un distillato aged, con sei mesi di affinamenti in botti, per donarci il cocktail pronto da servire con ghiaccio. Non da meno il Sabatini, nato nel cuore della Toscana, proprio come il Conte Negroni (da lui, il nome del cocktail), per un ready to drink con il loro inconfondibile gin come base.
Potrei continuare all’infinito, sulle sfumature dell’aperitivo italiano. Questa può essere una buona base per tenervi impegnati negli assaggi fino a farvi trovare la vostra variante perfetta o uno spunto per servire al vostro cliente delle combinazioni inedite e (spero) interessanti.
Evviva, l’Americano, il modo più italiano di fare l’aperitivo!