Chi non vorrebbe andarci? Chi non vorrebbe visitare una delle città più glam e rock del mondo insieme a una delle artiste che più l’ha resa tale e che più amiamo? Patti Smith rappresenta una delle anime più graffianti e profonde di New York: la sua crescita artistica rispecchia, in parte, la crescita monumentale della città, dagli anni Sessanta a oggi. Locali storici, serate leggendarie, compagnie che hanno fatto la storia della musica e dell’arte; ma anche ferite profonde, sogni lasciati a metà e amicizie lasciate per sempre, progresso vertiginoso che rischia di fagocitare umanità e creatività. Tutto questo trova spazio nelle canzoni, nelle poesie e nei disegni di Patti, ma anche in un nuovo libro. Un libro non suo. Un libro che è un viaggio e che, appunto, rende un po’ più possibile per tutti e tutte noi pensare di scoprire la Grande Mela mano nella mano con una delle sue santità.
Con una delle sue sciamane.
Lo scorso gennaio la giornalista e scrittrice italiana Laura Pezzino ha infatti pubblicato un reportage sentimentale dedicato alla sua New York e al modo in cui l’ha scoperta e vissuta ripercorrendo la vita, i luoghi e le relazioni della sua beniamina. Quella che lei, appunto, chiama: la sciamana del Chelsea Hotel.
Il libro si intitola come questo articolo: A New York con Patti Smith. Ma le sorprese non terminano qui: Laura Patti l’ha incontrata davvero. Da uno schermo all’altro del computer, da una costa all’altra dell’Atlantico, durante il primo anno di pandemia la nostra giornalista ha potuto chiacchierare con Patti Smith e farsi raccontare la sua New York in un’intervista che è anche lo scheletro della sua ispirazione per il libro.
In questo modo, sfogliando le pagine e leggendo le parole dell’autrice, i viaggi che si fanno con lei sono due: uno indietro nel tempo nella vecchia New York che accolse la giovane Patti e la fece diventare quello che è oggi; l’altro in orizzontale nello spazio, nella mappa della New York come la vediamo ai giorni nostri dove, civico per civico, locale per locale, zona per zona (Brooklyn, Coney Island, Chelsea…) andiamo con Laura alla ricerca dei segni del tempo e del rock, scoprendo anche tantissime cose su di lei, giovane donna italiana che approda nella Big City portandosi dietro una storia importante, come tutti quelli che sbarcano qui prima o poi nella vita.
Per l’autrice, infatti, New York rappresenta la città della cura e della libertà, due concetti profondi e dinamici che influenzeranno le sue giornate e i suoi movimenti: Laura ha infatti una missione. Andare a Rockaway Beach, dove Patti Smith possiede un piccolo studio in cui spesso (ma sembra mai abbastanza) si è rifugiata per scrivere, comporre, stare sola. Se e quando Laura arriverà lì, a portare i suoi omaggi al luogo dove la sua beniamina spesso cercava e trovava la pace, allora la troverà anche lei. Insieme alla cura e alla libertà.
Nel frattempo, però, le pagine del reportage ci portano - come dicevo - indietro nel tempo e, in particolare, dentro quegli anni in cui il punk, l’arte, il nomadismo e la poesia stavano insieme e abitavano le stanze di un luogo mitico: il Chelsea Hotel, il palazzo dei sogni, “l’unico posto di Manhattan dove miseria e stile andavano di pari passo” come scriveva Dave Thompson.
Qui Patti Smith conobbe Bob Dylan, scrisse le sue prime poesie, si offrì a un apprendistato della vita che aveva come guida il fotografo Robert Mapplethorpe e i classici della letteratura francese. Tante parole, interi libri e documentari sono stati spesi su questo luogo mitico della cultura newyorchese, americana, mondiale. Un posto che, se non ci fosse stato, non avremmo saputo neanche inventarlo perché è stato lui a favorire la creatività degli artisti e delle artiste che ha ospitato negli anni. Senza tenere fuori dalle sue mura nessun tipo di sostanza che quella creatività poteva favorirla e metterla in circolo.
Tra gli ospiti del Chelsea, Jack Kerouac amava il Margarita, ma si vocifera anche che avesse dato origine a un cocktail che portava il suo nome e che prevedeva una miscela di Tequila, Aperol, Triple sec all'arancia, succo di limone e di pompelmo, un tocco di sciroppo di agave; Dennis Hopper diceva di tirare giù direttamente (ma è molto improbabile) due litri di rum e 28 birre; Janis Joplin si faceva fotografare mentre beveva Southern Comfort. Patti Smith non lo dice, cosa beveva. Nella sua vita adulta la sua più grande passione beverina resta il tè e non è escluso che lo fosse anche da giovane.
Quello che colpisce del suo passaggio al Chelsea Hotel e dei successivi passaggi in tutti i luoghi di New York che vengono raccontati nel libro (splendido il capitolo che Laura Pezzino dedica alla gita di Patti e Robert a Coney Island) è che Patti Smith sia riuscita a distillare da ognuno un elisir particolare e che, mettendoli insieme, abbia dato un sapore e un tono unico, personale alla città più amata del mondo.
Ascoltare Patti Smith significa assaporare New York. Ma vale anche il contrario!