Cosa vuol dire essere ospitali? Che significato ha questa parola, antica e nobile, da cui prende il nome il settore di cui ci occupiamo?
Cosa vuol dire, per noi, dare ospitalità e riceverne? E che tipo di ospitalità c'è, oggi, nei locali della nostra penisola?
Qualche mese fa ci siamo interrogati su tutti questi argomenti e abbiamo subito capito quanto fosse importante per noi di Compagnia dei Caraibi, dare il nosto punto di vista sul tema.
Abbiamo quindi chiesto a una delle figure più importanti dell'ospitalità italiana, Massimo D'Addezio, di entrare nell'argomento, andando in profondità una lettera alla volta, dalla A alla Z.
Ne sono uscite tante piccole istantanee del mondo del bar che avremo il piacere di raccontare nei prossimi mesi.
Le immagini a corredo dei pezzi saranno invece tutte realizzate da Fabio Marangoni, direttore creativo, docente ed incisore, a cui abbiamo affidato il compito di riassumere in immagini i concetti di ogni capitolo.
Lo farà sempre fondendo caratteri in legno della prima metà del '900 e sovrastampando le incisioni.
Un lavoro di ricerca, attenzione e massima cura nei dettagli... un po' come succede nei migliori bar.
Buona lettura, quindi, con il primo capitolo dell'Abecedario dell'ospitalità!
Gabriele Diverio
Quando si dice “fare il Barman”, bisognerebbe pensare che il 40% della riuscita dell'atto, risiede nella frazione di tempo compresa tra gli 8 e i 20 secondi, frazione di tempo in cui si riesce empaticamente (ne parleremo alla lettera “E”) a far sentire chi entra nel locale nell’ordine:
- “Controllato” dalle scarpe, all’orologio passando per la camicia
- “Ben voluto” (se passa la fase “Controllato” ovviamente)
- “Facente parte di un élite”
- “Invogliato a spendere”
Ed infine, solo se strettamente necessario:
- “Rimbalzato” (se non passa la fase “Controllato”)
“Street”, “Hotel”, “Speakeasy”, “Club”... tutti sinonimi per descrivere il luogo dove si entra per poter smettere di compiacere gli altri e cominciare ad essere compiaciuti. Di norma, all’interno del Bar sarebbe meglio potersi relazionare con un barman che sia in grado di preparare anche solo un discreto Gin & Tonic con il sorriso e la voglia di ascoltare, piuttosto che relazionarsi con un barman che sa fare il miglior Corpse Reviver n°2 del mondo ma che non riesce a relazionarsi con il cliente.
Il cocktail è “perfetto” quando tutti gli ingredienti lasceranno le caratteristiche principali della loro individualità, in favore di un nuovo gusto che adempirà al compito di corrispondere alle caratteristiche enunciate dalla ricetta originale. Da notare che, in fondo, il drink rappresenta solo il 40% dell’intera esperienza all’interno di un bar.
Al prossimo articolo per scoprire i temi legati alle lettere D, E ed F.