Ebbene sì, lo ha fatto anche Amaro. Complici genziana, rabarbaro e china (in una versione). E complici un’infusione di erba medica e fiori di camomilla canditi (in un’altra referenza). Così Stefano Guizzetti, il regista di Ciacco Lab, ha sfornato il panettone Amaro. Accendendo i riflettori sul gusto più tenebroso, profondo, complesso e colto che vi sia. Un gusto che Ivano Trombino, il magister dell’iper-calabrese Vecchio Magazzino Doganale, ha trasformato in un motore di vita e di lavoro. E qui ve lo raccontiamo.
Perché a tavola il tocco amaricante rende tutto più intrigante. Specialmente nei dì di festa.
«Come insegna l’intelligenza rurale, talvolta è bello rallentare. E un buon amaro è l’ambasciatore ideale di valori quali la condivisione, la convivialità e il piacere della lentezza. Senza trascurare che l’amaro rappresenta la coccola finale a tavola. Tra l’altro, se penso ai miei amari, ve ne sono alcuni che stanno bene persino col panettone», spiega Ivano Trombino. Barba folta, voce calda e un gran talento da narratore. Un erborista, Ivano. Un gentleman di campagna. «Perché la campagna è eleganza ed educazione », come lui ripete spesso.
Lui: nato in Germania da genitori emigrati e ritornato nella sua Calabria, a Montalto Uffugo, in provincia di Cosenza. Dove dal 2015 guida Vecchio Magazzino Doganale, Società Agricola Rurale che ha puntato dritto sulla produzione di amari premium.
«L’amaro va difeso e tutelato. Non è meno importante di un distillato», ribadisce Trombino. Che con la sua agreste maison vuole anche riavvolgere il nastro di un’intricata trama di famiglia, riemersa dall’oblio grazie ai racconti lasciati in eredità a zia Regina, sorella di quel nonno Egidio fuggito a Rio del Janeiro negli anni Cinquanta.
Una storia vera, fatta di partenze, di (amari) addi e di (dolci) incontri. Una storia che inizia col nonno del nonno, tal Giocondo Trombino, che in terra calabrese vendeva un po’ di tutto: dal grano al mais, dall’orzo agli attrezzi agricoli. Finché gli piombano in bottega tre americani naufraghi (sulla nave trasportavano un carico di alcol da canna da zucchero): il capitano Jefferson, il fidato Roger e il medico di bordo Gil. Correva l’anno 1871. Da allora tutto cambiò. E Jefferson divenne addirittura un Amaro Importante, premiatissimo e ambitissimo. Recentemente eletto Mejor Producto del Año 2024 al Fibar di Valladolid. «Oggi coltiviamo quattro ettari e mezzo di terreni. Da cui ricaviamo l’80% delle nostre botaniche, per creare ricette semplici ed essenziali. Utilizzando erbe e piante come origano, alloro, lavanda, maggiorana, melissa, e frutti come arance e limoni», continua Trombino, facendo focus sul borgo Martorano, sul genius loci e su una filiera cortissima.
«Pensando al pandoro, al panettone e all’uva passa mi viene in mente Frack, un amaro vinoso e indisciplinato, perché fuori dai canoni. Come molti nostri prodotti, nasce grazie a un’infusione idroalcolica. Ma evocando quello che da noi è detto miele di fichi, la ricetta prevede pure dell’uva moscato messa a bollire in acqua», svela Ivano, descrivendo un Amaro Serale, no alla moda, come recita l’etichetta. «Dietro c’è un altro aneddoto. Jefferson, passando da Milano per andare da Madame Milù a Parigi, conosce una persona al bar del Teatro alla Scala e passano la serata insieme, quasi fossero vecchi amici. Ma ad oggi non sappiamo né se quel tale fosse un uomo o una donna né quale nome avesse. Noi lo abbiamo chiamato Frack, facendogli indossare un abito un po’ dadaista. Un amaro da servire fra i 5 e gli 8°C in un bicchierino da cordiale, a fine pasto. Oppure con un po’ di soda, in un esercizio da bere come il Frackettino». Perché se l’amaro è ideale a suggello di un pranzo, un pranzo lo può pure aprire, se miscelato con liquori e distillati. Per un aperitivo all’italiana.
«Washington invece è fra gli ultimi amari realizzati. Ha note agrumate, per via delle arance della cultivar Washington (in bella mostra in etichetta, ndr), ma ha anche nuance amaricanti, vista la presenza di erbe quali la chiretta e l’enula campana. Perfetto se servito a 5°C in un tumbler largo, con una scorzetta d’arancia», suggerisce l’erborista. Che certo non scorda il figlio più giovane della gamma: Amaretto Club. «È nato per valorizzare la mandorla di Amendolara, una varietà stupenda, tipica della cittadina sulla costa ionica. Ha ottenuto persino la denominazione comunale. Vogliamo dar voce al piccolo borgo e a un frutto di per sé limitato», commenta Ivano. Che ripescando una ricetta del Cinquecento ha creato un cordiale contemporaneo, prezioso di mandorle tostate, foglie di ulivo a regalare la parte vegetale ed erbe a concedere freschezza. «Da servire a 8°C in un bicchierino tulip. Oppure da trasformare in un Amaretto Sour, come apripista di un pranzo o una cena».
Intanto? Ivano pensa al futuro: «Il prossimo anno arriverà Lunare, altamente digestivo, per la presenza del limone Lunario, che a ogni stagione fa un frutto, e del peperoncino dog nose, che conferisce un cenno di croccantezza». Mentre nel presente tiene pure le redini di una realtà come Amari & Affini, con sede a Rende e in co-conduzione con Compagnia dei Caraibi. «Si tratta di una produzione diversa. Con Vecchio Magazzino Doganale posso esprimere la mia anima più territoriale, rurale e stagionale. Le botaniche sono raccolte nel loro momento migliore e sublimate singolarmente in infusioni idroalcoliche. Solo in seguito viene fatto il blend.
Con Amari & Affini do invece luce al mio spirito da erborista, con una visione più internazionale, utilizzando noci di cola, macis, cardamomo. Botaniche secche, lavorate tutte insieme», precisa Trombino. Ricordando la collezione Manfredi, fra cui spiccano la Liquirizia, l’Anice, la Sambuca e l’Amaro, a base di genziana, rabarbaro, quassia e arancia amara.