Braci e abbracci (alcolici)

Braci e abbracci (alcolici)

Di Cristina Viggè

Illustrazione di Federica Zancato

6 minuti

Primavera. Tempo di grigliate all’aperto. Sul balcone, in terrazza, in giardino. Magari con pochi amici (per rispettare le regole). L’importante è preparare per bene la brace, cuocere a dovere la carne (ma anche pesci, ortaggi e formaggi), mettere un po’ di musica e sorseggiare un buon cocktail.

Salamelle, braciole e costine di maiale. Loro non possono mancare sul barbecue. Ma c’è anche chi preferisce una succulenta bistecca di manzo, oppure gli arrosticini. Un cult per i nerds della pecora.
E pesci e crostacei? Pure loro possono finir sulla graticola, insieme a verdure e formaggi.

Così siamo andati dal Lago di Garda al mare di Puglia, passando per la campagna toscana e la terra d’Abruzzo. Chiedendo a quattro bartender i drink ideali per accompagnare gli alimenti destinati ai carboni ardenti.
A chiosa? Qualche diktat per la marinatura perfetta, firmata da un grande esperto di gastro-mixology.  

Iniziamo il nostro tour della griglia!

Giocando col pig e col gin

«Quando si pensa a un pairing cibo-cocktail si possono prendere due strade. Quella dell’accordo e della continuità, per proseguire a bere il piatto e a mangiare il drink. Oppure quella della momentanea interruzione. In tal caso serve un sorso che deterga, ripulisca il palato e lo prepari al morso successivo. Un po’ effetto sorbetto», tiene subito a precisare Leonardo Veronesi, deus ex machina del Rivabar, a Riva del Garda, sulla sponda trentina del lago. 
«Sono veronese ma ho sempre abitato vicino all’acqua, a Malcesine, a Brenzone. Del resto, sono appassionato di windsurf. Ma pratico anche lo sci e vado in bici», continua lui. Fiero d’aver rispettato l’Ora giusta (intesa come vento, of course). Cavalcando l’onda della passione, pedalando veloce e facendo lo slalom fra il qua e il là. Fra il Garda e le Canarie (però l’idea era di andare a Miami), la Spagna e la Germania, l’Inghilterra e l’Olanda. Come? In aereo, in treno e in traghetto. O facendo l’autostop. 

Poi? «Nel 1993 aprii un pub proprio a Riva. Lì cominciai a prendere le cose sul serio. Studiando e frequentando corsi su corsi. Persino di micromagia. E nel 2009 inaugurai quella che è ancora la mia insegna: nell’ex stazione dei treni della MAR. Anche se ho rifatto gli interni già quattro volte. Ora le ho dato un’aria più vintage. Per rispettare la storia del luogo.
Grazie a muri nudi e crudi, divanetti, salottini, sedute basse, un bancone in ferro di otto metri e mezzo e una bottigliera con seicento etichette», racconta l’intrepido Leonardo. Che è pure un formatore Aibes. «Se dovessi creare un abbinamento di continuità con braciole, salamelle e costine di maiale andrei su una birra. O meglio, su un drink alla birra. Una variante del Whiskey Sour per esempio: un Bee Sour. Facendo un blend con un rye, un bourbon e un torbato: giusto a ricordare le note di brace. Aggiungendo albume, zucchero e limone: a contrastare il grasso della carne. E montando un po’ la schiuma della birra. Oppure versando direttamente la birra. Pronta a dare l’accenno amaricante e luppolato. Qui non tronchi la degustazione, crei un prolungamento».

E se si preferisse uno stop and go? «Meglio optare per un cocktail sodato, acido, agrumato, dissetante e delicatamente spicy. Una rilettura del Moscow Mule. Preparato con i limoni del Garda, per rendere omaggio al territorio, e con uno sciroppo al sambuco fatto in casa o realizzato artigianalmente. Anche questo fa parte della cultura trentina. Al lago e alla montagna accosterei poi il mare. Il Gin Mare, con la sua esuberante energia mediterranea. Inoltre,  ci vuol lo zenzero.
Che, a differenza del peperoncino, regala una piccantezza gradevole, che svanisce subito. Ecco allora la ginger beer East Imperial Mombasa. Ma ecco pure la liquiriziacalabrese, a dar l’amaro. Utilizzerei anche del giaccio affumicato, per evocare le sfumature di legna e carbonella. Un cocktail che riunisce l’Italia. E guarda anche un po’ oltre.» 


Piggly Liquorice

Ingredienti per 4 drink

200 ml Gin Mare

100 ml spremuta di limoni del Garda

60 ml sciroppo al sambuco homemade o artigianale

400 ml East Imperial Mombasa Ginger Beer

cubetti di ghiaccio affumicato

caramelline di liquirizia


Preparazione

Tecnica: build

Bicchiere: calice ampio senza stelo

Garnish: foglioline di menta (o uno spiedino con pomodoro, basilico e bocconcino di mozzarella)


Procedimento

Posizionare 6-7 caramelline di liquirizia nelle pinze da tè e adagiarle nel calice. Versare il gin - che ha un forte potere estrattivo - direttamente sulla liquirizia. Far ruotare le pinze per favorire l’aromatizzazione. Aggiungere la spremuta di limoni e lo sciroppo al sambuco. Avendo l’accortezza di mescolare per bene. Aggiungere il ghiaccio affumicato (con una smoking gun), girare e versare la ginger beer. Mescolando dall’alto verso il basso. Guarnire con foglioline di menta o con uno spiedino. A lato, servire un bicchiere vuoto, per appoggiare le pinze mentre si sorseggia il cocktail.

Ecco il Piggly Liquorice di Leonardo Veronesi.
Ecco il Piggly Liquorice di Leonardo Veronesi.

Respiro green

«Ricerchiamo la stagionalità, la verità e la freschezza. Tanto qui in campagna basta aver voglia di muovere le gambe, andar nell’orto, raccogliere erbe e verdure e lavorarle. Per trasformarle in cucina. O per farle diventare l’ingrediente protagonista di un drink», racconta felice il millennial Federico Diddi. Classe 1991, livornese, una maturità scientifica, una laurea in economia logistica in tasca, una ricca esperienza nel settore degli eventi, un corso come ranger di safari (in Botswana e Sudafrica) e un presente dietro il bancone del Sal8 Bar Agricolo. Sì, un vero salotto tuffato nel parco botanico e nel verde intenso, selvaggio e mediterraneo del relais Poggio ai Santi, a San Vincenzo (e in via San Bartolo).
In quell’Alta Maremma che allunga lo sguardo sulla Costa degli Etruschi. Un relais di charme che coniuga raffinate suite con un’azienda agricola biologica e sostenibile. Per un totale di 40 ettari ritmati da oliveti, campi, orti, frutteti e serre (con corredo di pannelli fotovoltaici). «E poi ci sono tanti animali liberi, come asini, capre, polli, anatre e conigli», aggiunge Federico. Sempre sotto la supervisione della proprietaria Francesca Vierucci (che è una contadina custode di semi antichi) e del figlio Giulio Neri.

«Giulio lo conobbi a Roma, mentre lavoravo allo speakeasy The Barber Shop. E poi lo seguii a San Vincenzo. È stato il mio tornare a casa e alle radici», spiega il giovane bartender. Alle redini di uno slow bar che è un laboratorio di idee, in equilibrio fra natura, legno e aura vintage. Posizionato nel Podere, l’edificio principale del relais, vicino al ristorante Il Sale, capitanato dallo chef giapponese Shimpei Moriyama e dalla compagna Sayuri, sensibili interpreti dell’ancestralità della terra. «La cucina del bar agricolo invece è il fuoco. Abbiamo un barbecue dove possiamo cuocere una quarantina di bistecche alla volta. Ovviamente del nostro macellaio di fiducia: Alessandro Ciacci». 

Senza tradir gli ortaggi: «Per proporre aperitivi e stuzzichini leggeri e delicati. Perché griglia non significa solo gran mangiata di carne. Anzi, ho pensato a un drink per piatti green, cucinati al calore della fiamma. Come quelli suggeriti da Shimpei. Specialmente un cartoccio di piselli con burro, gorgonzola e miele di sulla», docet Diddi. Che mette a punto sorsi intriganti, ideali pure per accompagnare un fondente tomino con carciofi alla brace e olio alla gremolada; asparagi alla griglia con uovo fritto e scaglie di pecorino di grotta; cipollotti e caciocavallo grigliati con salsa verde e mandorle tostate; e baccelli (fave) alla brace, con pecorino toscano e fettunta.

Così Federico fa sbocciare un cocktail coerente con l’habitat in cui vive e lavora. «Il vermouth rosso Riserva Carlo Alberto va infatti a evocare un terroir vocatissimo al vino. Non dimentichiamo la vicinanza con Bolgheri. Mentre il cordial di melangolo, il citrus aurantium, è preparato con le arance amare che crescono in mezzo ai nostri orti. E risponde anche alla logica dello zero waste. Una legge per noi. L’idea è nata in seguito alla raccolta straordinaria di 65 chili di arance amare. Abbiamo spremuto il succo e ricavato le scorze da disidratare. Restava l’albedo. Così lo abbiamo fatto bollire per poi realizzare un profumato cordial da conservare sottovuoto. Un cordial aromatico e amaricante, dai sentori umami». 


Aurantium

Ingredienti per 4 drink

200 ml di vermouth Riserva Carlo Alberto Red

120 ml cordial di melangolo (o liquore di arance amare)

8 dashes angostura

400 ml soda

4 maxi cubi di ghiaccio


Ingredienti per 1 l di cordial

600 ml acqua

4 arance amare

600 g zucchero

qualche grammo di acido malico (per raggiungere un pH di 2,6)

un pizzico di sale


Preparazione

Tecnica: build

Bicchiere: tumbler alto

Garnish: ciuffetto di menta


Procedimento

Preparare il cordial. Sbucciare le arance amare. Separando buccia, polpa e albedo. Mettere tutto l’albedo in acqua e lasciar bollire per una dozzina di minuti (o fino a quando diventa lucente). Scolare e aggiungere all’acqua di melangolo lo zucchero, l’acido malico e un pizzico di sale. Mescolare, far raffreddare il cordial e conservarlo in un barattolo. In un tumbler alto versare il vermouth, il cordial e l’angostura. Posizionare nel bicchiere un bel cubo di ghiaccio e colmare con la soda. Mescolare delicatamente con un barspoon o con un cucchiaio. Guarnire con un fresco ciuffetto di menta. 

Chi vorrebbe provare l'Aurantium di Federico Diddi?
Chi vorrebbe provare l'Aurantium di Federico Diddi?

Arrosticini vichinghi

Abruzzo e Islanda. Così lontani. Così vicini. «Certo, in comune hanno le pecore. Entrambi sono fortemente legati alla cultura ovina», spiega Daniele Giannascoli: natali a Pescara, annata 1982, una maturità scientifica, una laurea in psicologia (che serve sempre, soprattutto dietro un bancone) e alla guida del White Cliff nella dannunziana city. «Anni fa andai a trovare un amico vicino a Dover. E m’innamorai delle vertiginose e bianche scogliere. Così nel 2015, quando aprii il mio locale, desiderai battezzarlo così. In principio era un pub di quartiere. Uno spazio raccolto, di 40 metri quadrati, fondato sull’idea romantica di birra e whisky. Poi abbiamo cambiato marcia. Ci siamo evoluti, tenendo la birra ma concentrandoci sui drink. Ora più che osservare oltremanica, guardiamo oltreoceano. Al Dead Rabbit di New York, il mio punto di riferimento», continua il bartender. Che non si è fatto mancare una tappa a Brisbane. «A un certo punto volli volare all’estero. Feci girare il mappamondo e il dito finì dritto sull’Australia. Il mio maremoto creativo». 

Indomito Daniele. Che fa rotta concettuale verso il Nord. «Nutro da sempre una grande passione per i Paesi Scandinavi.
E mi sto appassionando alla mixologia nordica. L’antitesi del tiki, per capirci. Tutto è iniziato con l’Himbrimi Gin, insieme a Paolo Valperga, che tra l’altro mi ha citato nel suo libro Spirits ovvero l’arte di bere benissimo», continua lui. Ricordando un gin dedicato ai pescatori delle lande islandesi e ispirato alle erbe che crescono lungo i freddi fiumi. «Non è questione di aspetto o di colore. Deve essere il sapore del cocktail a condurre verso Nord. A far immaginare il Nord. Grazie all’utilizzo di bacche e cortecce, polveri di muschi e licheni, infusi di betulla o achillea. Grazie a note balsamiche, dolci e sapide. E poi gli islandesi somigliano agli abruzzesi. Noi abbiamo il culto degli arrosticini. E pure loro mangiano la pecora.
Anzi, il suo sterco è stato utilizzato per secoli quale fonte di riscaldamento. Da qui l’idea di creare un cocktail partendo da un whisky vichingo, prodotto con l’orzo autoctono dell’isola e affumicato col letame essiccato dell’animale». 

Voilà il Flóki Young Malt Sheep Dung Smoked Reserve, della Eimverk Distillery. «Che regala quella torbatura che ben s’intona con la brace. Il tutto arricchito da un distillato di sidro (di mele) quale il Laird’s Applejack e mitigato dagli accenni amaricanti del Bitter Rouge White. Ma con la carne di pecora ci vuole qualcosa che stemperi secchezza e arsura.
Per questo ho aggiunto un cordial. Uno sciroppo acidificato cui concorrono polline, a dare il tono floreale; miele, a conferire dolcezza e acidità; acqua di governo della mozzarella, a consegnare il timbro sapido; e mela verde, a regalare l’acidità malica. Un drink da chiudere con della soda. In alternativa, si può optare per uno sciroppo di mela verde e cannella. Ma in questo caso va aggiunto un fermentato di miele: l’idromele. Il nettare degli dei. Quel mead che, usato al plurale, evoca il verbo incontrare. Un drink estremamente complesso per un cibo assolutamente semplice».
Della serie, il divino e l’ovino.  


Flóki “Mead”s the Gods

Ingredienti per 4 drink

120 ml Flóki Young Malt Sheep Dung Smoked Reserve

80 ml Apple Brandy Laird’s Applejack Blended

20 ml Bitter Rouge White

200 ml cordial di mela verde (o sciroppo di mela verde e cannella) 

480 ml soda (o idromele se si utilizza lo sciroppo di mela verde e cannella)

Cubetti di ghiaccio


Ingredienti per 1 l di cordial

350 ml acqua

150 ml acqua di governo della mozzarella 

300 g miele

200 g polline

2 mele verdi

1 stecca di cannella


Preparazione

Tecnica: build

Bicchiere: highball

Garnish: buccia di mela verde e polline essiccato


Procedimento

Preparare il cordial. Tagliare le mele a cubetti, lasciando la buccia ma eliminando i semi. Inserire le mele, il miele, il polline, la cannella, l’acqua e l’acqua di governo della mozzarella in una sacca per il sottovuoto e cuocere in sous-vide a 40°C per 10 ore. Filtrare con un panno da brodo e aggiungere (se necessario) correttori di acidità (acidi citrico, malico e ascorbico), per un massimo dell’1,2% del peso totale. Una volta preparato il cordial, versarlo in un bicchiere con tutti gli altri ingredienti del drink, eccetto la soda. Dare una leggera mescolata, aggiungere il ghiaccio e poi la soda. Mescolare dal basso verso l'alto. Guarnire con la buccia di mela verde e il polline essiccato. 

Flóki “Mead”s the Gods: quando l'Abruzzo incontra l'Islanda.
Foto di Matteo Ferri
Flóki “Mead”s the Gods: quando l'Abruzzo incontra l'Islanda. Foto di Matteo Ferri

La grinta e la gentilezza

Il mare e il molo non sono lontani. Il centro storico è lì avanti. «E il sole lo mettiamo nel bicchiere tutto l’anno. Grazie allo spirito tropicale del locale. Che privilegia una cucina internazionale e una miscelazione semplice, diretta. Nel pieno rispetto dell’ingrediente liquido. Amo l’idea di preparare un buon Mojito, un fresco Daiquiri o una radiosa Piña Colada». A parlare è Nacho Pappagallo: classe 1977 e all’anagrafe Ignazio. «Fu un amico argentino arrivato in Italia a chiamarmi così. E così mi chiaman tutti», continua felice lui.
Dietro il bancone del Bit - Bloom in town, nella sua città natale: Molfetta, in provincia di Bari. Anche se in realtà lui è il bar manager di tutti i locali del gruppo Tamatete, che conta pure il Pole Pole (a Giovinazzo), il Bloom Beach Bar e il Chotto Chotto, insegna dedicata alla nippo-apulo cuisine, sempre a Molfetta. E sempre nel segno di un mood lento, calmo, conviviale e rilassato. 

«Ma non sono un barman di lungo corso», permette Nacho. «Fino al 2013 ho lavorato nell’azienda di famiglia, specializzata nel settore ortofrutticolo da generazioni». Poi il cambio di direzione. «Mi sono reinventato. Sognavo di diventare bartender. Perché è come essere su un palcoscenico, a fare il direttore d’orchestra del divertimento». Così, via libera a corsi base, corsi avanzati, corsi di approfondimento (anche a Milano e a Bologna), per imparare il metodo, il giusto approccio alla materia e l’arte dell’ospitalità. «Perché il drink è importante. Ma il cliente si ricorda soprattutto come stato accolto».
Ha le idee chiare Nacho. Che si fa strada pian piano, arrivando a conquistare il suo posto al Bit. Fra un bancone industrial style, la pietra viva e pietanze globe-trotter quali nachostacosburritossushisashimisamosapokenoodles e gyoza. Per un viaggio che va dal Messico al Giappone, dall’India alle Hawaii.

Ed è pensando a un croccante taco glocal, con gamberi di Santo Spirito alla griglia, stracciatella, pepe di Sichuan e guacamole preparato con avocado, cipolla rossa di Acquaviva e limone femminello del Gargano, che Nacho sfodera El Grinta. «Così chiamavano nelle gare mio padre Sergio. Pluricampione di motonautica. Questo cocktail lo dedico a lui. Alla sua passione per il mare e per il suo lavoro legato alla terra. Un drink cult nel 2020. In un momento difficile ha regalato a tutti la carica», continua il bar manager. Che mette a punto un long drink dal tono energico ma dal carattere delicato. «Perché con pesci e crostacei ci vuole gentilezza. Lo servo in un calice. Come fosse un vino. E accompagna il pasto con la stessa gradazione alcolica di un vino»

Gin Mare dunque, per una vigorosa esplosione azzurra e mediterranea, in combo con la sua sodale tonica 1724, figlia dall’acqua patagonica e di un chinino raccolto a 1.724 metri sulle Ande. Il tutto valorizzato e bilanciato da elementi terreni quali la marmellata di cedro, nonché i bitter Fee Brothers al limone e al pompelmo. Per un bouquet agrumato.
Tocco finale: un rametto di rosmarino e il suo profumo homemade. Realizzato riutilizzando l’erba aromatica. Nell’ottica del riciclo e del non spreco. «Vado a vaporizzare il profumo esternamente, sul calice. Così, prendendolo e portandolo alla bocca, la mano si “sporca”. E l’esperienza prosegue, anche terminata la bevuta».   


El Grinta

Ingredienti per 4 drink

200 ml Gin Mare

4 barspoon marmellata di cedro

4 dashes bitter Fee Brothers Lemon

4 dashes bitter Fee Brothers Grapefruit

800 ml 1724 Tonic Water 

cubetti di ghiaccio in taglia large


Preparazione

Tecnica: build

Bicchiere: calice ampio

Garnish: rametto di rosmarino e profumo di rosmarino homemade


Procedimento

Versare nel calice il Gin Mare, utilizzando il tappo come misurino (50 ml). Aggiungere la marmellata di cedro, i dashes di bitter al limone e al pompelmo e mescolare. A questo punto mettere 3-4 bei cubetti di ghiaccio e versare la tonica, sino a colmare il bicchiere. Decorare con un rametto di rosmarino. Vaporizzare sul calice il profumo di rosmarino fatto in casa. Basta lasciare macerare gli aghi in un distillato (come la vodka) per 3-4 giorni, al buio. Per poi versare il contenuto in uno spruzzino. E il gioco è fatto. 

A volte, ci vuole proprio El Grinta per affrontare una grigliata con amici...
Foto di Alessandro Bruno
A volte, ci vuole proprio El Grinta per affrontare una grigliata con amici... Foto di Alessandro Bruno

Marinature “spiritose”

Cocktail che abbracciano il braciere. E se gli spirits incantassero carni, pesci, crostacei, ortaggi e formaggi, predestinandoli al barbecue? «L’alcol non è assolutamente nemico del cibo. Anzi. Dà una sfumatura in più. Un quid che in natura non esiste nell’alimento», puntualizza Filippo Sisti, che con la cucina liquida ha un indubbio feeling. Un visionario della gastro-mixology: millesimo ’83, nato a Voghera, vissuto a Stradella e sin da adolescente con lo shaker in mano.
Prima a Villa d’Este, sul Lago di Como, poi verso nuovi lidi, inanellando Francia, Inghilterra, States e Svizzera tedesca. Sino all’approdo in Segheria. Sì, da Carlo e Camilla in Segheria, a Milano, accanto a Cracco. «Ci sono rimasto sei anni.
Il locale l’ho visto nascere e crescere», svela Filippo. Che nel 2018 inaugura il rivoluzionario Talea. «Un concept avveniristico. Ventun anni di esperienza concentrati in un’insegna. Talea è nel mio cuore. Speriamo in una nuova germogliatura». Intanto è entrato in Compagnia dei Caraibi, quale mixology strategist e per seguire la formazione.
In primis all’estero.

«Cerco di insegnare come utilizzare i distillati in un’ottica diversa». E le marinature non fanno eccezione. «Ma è necessario suddividerle in due categorie. Le marinature da sapore, quelle con olio, aglio, pepe, erbe. E le marinature da precottura, con una parte acida data da limone, sale, aceto, vino, e perché no, uno spirit. Ma bisogna fare attenzione. Se la gradazione alcolica è pari a 42 significa che di 42°C si tratta. Del tipo che se lascio un pezzo di carne nel whisky, lei cuoce a bassa temperatura. Con l’effetto di una bistecca alcolica. Per questo è doveroso osservare il tempo di permanenza e il dosaggio dell’alcolico. Meglio aumentare la percentuale di limone e abbassare quella di zucchero e alcol per capirci. Ricordo un filetto di cervo lasciato marinare nel Whiskey Sour per una dozzina di ore. Era spettacolare». 

Quindi, per favorire il relax degli arrosticini sulla fornacella? «Inevitabile il richiamo del Montepulciano d’Abruzzo. Da qui una marinatura col vermouth rosso, il Riserva Carlo Alberto Red. Direi un cucchiaio ogni due arrosticini. Il tutto in sinergia con succo di limone, zucchero per bilanciare, sale e pepe per insaporire. Non serve inzuppare la carne. Basta adagiarla in una terrina contenente i diversi ingredienti. Massaggiandola un po’ e avendo l’accortezza di girarla ogni tanto. Carne da far riposare per dodici ore. E volendo, da rinforzare con erbe aromatiche robuste, quali alloro, rosmarino, chiodi di garofano». E per salamelle, costine e braciole? «In tal caso meglio un buon mezcal, come Ilegal Joven: chiaro, così non va sporcare la carne bianca di maiale; e dalla leggera affumicatura, in modo da assecondare con garbo le note di brace», dice Filippo. Riferendosi al messicano figlio delle piñas di agave espadín vivipara. «Il tutto da impreziosire con erbe delicate, quali menta, aneto, melissa, verbena, basilico, finocchietto. E aggiungendo un pochino d’olio».
Olio che Sisti consiglia di utilizzare pure nel caso di un magro filetto di manzo. «Ma se la carne presenta già del grasso non lo aggiungerei affatto. Manzo che chiama all’appello una marinatura col rum. Il Plantation Original Dark, che affronta un doppio invecchiamento, pur risultando estremamente elegante». 

Ma anche il pesce può finir in graticola. «Non avrei dubbi su una bella nuotata di 4-6 ore nel Gin Mare. Un gin mediterraneo, caratterizzato da botaniche come basilico, timo, rosmarino, agrumi e oliva arbequina, tipica della Catalunya». In alternativa? Una marinatura nel sake. «Che è ideale con le verdure. Peperoni, zucchine e altri ortaggi. Sempre versando un filo d’olio, affinché non si attacchino alla griglia. Mentre con le patate userei uno scotch whisky, perché il mood fumé ci sta bene. E con il pomodoro oserei, scegliendo l’amazzonico e armonico Canaïma Gin. Ho anche provato a siringare un pomodoro cuore di bue con un mix di vodka, sale, limone e alga spirulina. Lo si può mangiare così, in insalata. Oppure cuocere alla brace».

E dopo gli ortaggi, i formaggi. «Basta tuffare una crosta di Parmigiano Reggiano nel vermouth Riserva Carlo Alberto Dry per capirne la bontà. La crosta va lasciata in immersione per 4-6 ore, tolta, asciugata e messa sulla brace. Il vermouth insaporito dal formaggio ovviamente non si butta. Anzi. Lo si può usare per marinare delle olive, dopo averle ripescate dalla salamoia. Oppure per marinare i porri, insieme a olio, sale e pepe. In alternativa, si procede con il fat washing. Una volta eliminata la crosta, si lascia riposare il vermouth nell’apposito dispenser con rubinetto, anche fuori dal frigo. La parte grassa tenderà a salire e il vermouth “scremato” risulterà setoso, dagli incredibili sentori umami. Perfetto in pairing con le olive. Per un aperitivo».   

Cristina Viggè

Cristina Viggè

Lombarda, millesimo 1970, una laurea in Lettere e una vita da giornalista. Scrivere? È come creare un cocktail. Bisogna bilanciare l'energia degli elementi materici, comunicando la forza dell'immaginario.

Federica Zancato

Illustratrice freelance, curiosa e creativa, amante del cinema e della grafica pubblicitaria d’epoca.