Edoardo di Mr Three, del Rita e del Tiki a Milano

Edoardo di Mr Three, del Rita e del Tiki a Milano

Di Marina Lanza

Illustrazione di Davide Fasolo

5 minuti

Edoardo Nono, rinomato per la sua mixology e per avere aperto il Rita con uno dei banconi più apprezzati dei navigli di Milano e, lì di fronte, il Rita's Tiki Room, locale vivace, asian-tropicale, unico del suo genere in città. Oltre a questo, è sua la creazione di Mr. Three & Bros Ginger Falernum, un liquore caraibico agrumato con una dominante di zenzero.

Oggi però siamo qui, con questa intervista, per sapere qualcosa di più personale sul suo conto.

Iniziamo dai suoi primi anni.

M. Lanza: Come era Edoardo Nono da bambino o da ragazzino? Ritrovi nei suoi sogni quello che stai facendo adesso?

E. Nono: Devo dire che ero già un’anima in pena, che voleva sempre andare via... avevo il viaggio nel sangue e l’ho manifestato subito. Sono cresciuto in un paese di 20.000 anime, Malnate, e già per fare le medie ho scelto Varese, per via dell’inglese, così ogni mattina prendevo il treno.
Per le superiori ero pendolare su Gallarate e i treni da prendere erano due... incentivando la mia tendenza all’evasione alla fuga. Ho studiato telecomunicazioni, non avevo la minima idea di cosa farne ed ero pure un pessimo studente... ma il caso mi ha fatto scoprire il mondo dei bar nell’estate dei miei 15 anni. Devo anche molto al mio papà che mi ha sempre insegnato l’importanza dell’autonomia delle scelte, nonostante lui avesse una sua azienda...
Quindi ho seguito la mia strada e quell’estate, l’incontro con il mondo del bar e del servizio, è stato letteralmente un crash.
Ho terminato la scuola faticosamente e, appena libero, sono scappato via per la mia prima vera stagione di lavoro da professionista in Sardegna, nel 1989. Di quel bambino riconosco in me questa spinta al viaggio e, in seguito, la passione del servizio, perché sono cose innate da sempre, o ce le hai o non ce le hai.

M. Lanza: Torniamo a quell’estate della folgorazione, quando quindicenne sei dovuto rientrare a scuola, cosa ti mancava maggiormente del lavoro al bar?

E. Nono: A dire il vero, all’epoca avevo solo voglia di avere una mia indipendenza economica, prendermi qualche sfizio. E sentivo che dietro al bancone ero a mio agio. A quell’età non analizzi quello che fai, non fai ragionamenti, fai quella cosa che ti fa stare bene.
E poi, devi considerare che il cocktail bar che conosciamo oggi non è quello che c’era 30 anni fa, dove si facevano cose più semplici e il lavoro era meno articolato.
C’era una grande semplicità a monte, ma la differenza che identificava un professionista stava tutta nell’approccio con il cliente. Era tutta una questione di servizio e di atteggiamento.

M. Lanza: Quindi, hai assistito al cambiamento dalla scuola old style alla golden era. Mi ricordi lo zio Charlie de “Il Bar delle Grandi Speranze” di J. R. Moehringer.

E. Nono: Esattamente, un libro stupendo, lì si coglie perfettamente il senso dell’osservazione nella capacità del servizio. Io ho avuto un grande maestro quando ho fatto la mia prima stagione, Andrea Bertelli, un grandissimo professionista di Rimini che non mi ha mai insegnato praticamente a fare da bere, ma mi ha insegnato a guardare il lavoro con un occhio differente. Mi ha girato la testa di 180°, in un momento determinante nella mia preparazione che adesso mi fa fare tutto in un modo distinto dagli altri.

M. Lanza: Dove esercitava il tuo mentore?

E. Nono: Fino al 1998 abbiamo lavoratro in un gruppo che si chiamava Club Vacanze, all’epoca era un’eccellenza dell’accoglienza turistica di lusso, che aveva un livello altissimo nella parte ristorazione e bar, per la quale riservava un service professionale specializzato, con maître della MIRA, i barman erano tutti dell’AIBES.
Con Bertelli ho fatto stagione alle Maldive, alle Seychelles alle Isole Turks e Caicos, affrontando anche situazioni ambientali sempre diverse che mi hanno dato la possibilità di affrontare e superare, con poco, situazioni difficili.
Ogni esperienza di quel periodo è stata fortemente formativa.

M. Lanza: Quindi hai soddisfatto la tua voglia di viaggiare!

E. Nono: M’è arrivata la manna dal cielo! Nel 1996 sono stato sulle navi da crociera negli USA e dopo aver girato il mondo... sono finito in provincia, a Melegnano, in un postaccio, perché un mio collega di villaggi turistici apriva un bar diurno e notturno e mi ha chiesto di aiutarlo nella start up. Io ho abboccato, dicendomi “Sto qui due mesi e poi ritorno sulle navi” e invece...

M. Lanza: Quanto sei stato lì?

E. Nono: Due anni.

M. Lanza: C’è stata una sanguinosissima battaglia a Melegnano, durante la guerra d’indipendenza (1815)!

E. Nono: Esattamente, un postaccio, e lì ci vivo tutt’oggi e lì ho pure trovato moglie.
Dopo un anno e mezzo, ho voluto cambiare registro e sono andato a Rimini a studiare all’Università del Turismo in un corso di management alberghiero. Perché al di là dell’aspetto pratico mi mancava la parte tecnica e organizzativa, quindi grazie a fondi europei c’era un corso a frequenza obbligatoria di 2400 ore, due anni sui banchi, con insegnanti professionisti dell’accoglienza, della comunicazione e quant’altro, con termine con un Master all’École d’Hotellerie di Losanna.
Da lì, mi presero al Four Season per uno stage di formazione interna assieme a Cipollini, che diventò il direttore della struttura a Firenze, mi hanno proposto l’assunzione e io... dopo sei mesi lì dentro... sentivo troppo la mancanza del bar e sono finito col lavorare in un cocktail bar a Milano, sui navigli.

M. Lanza: Racconta.

E. Nono: All’improvviso, eh. Ero una sera a bere da questo mio amico, in un locale che non ora non c’è più, l’Indiana Post dove amavo andare con la mia futura moglie, e lui mi dice “Non ci vediamo più perché vado alle Bermuda” al che chiedo “Ma chi viene a fare da bere al posto tuo?” lui mi guarda e fa “Boh, vieni tu!”. Lui sapeva dei miei trascorsi in bar, così ho parlato con il proprietario e dopo una settimana ero già in prova e così... ho detto di “no” al Four Season.

M. Lanza: Da qui al Rita, cosa c’è?

E. Nono: Subentrata una nuova gestione all’Indiana Post, mi hanno chiamato per la consulenza per informatizzare un grosso cocktail pub a San Donato, con 40 dipendenti, sono stato lì come direttore fino a quando ho trovato lo spazio adatto per il mio Rita. L’avventura del Rita è iniziata nel dicembre del 2002.

M. Lanza: Parlami dello stile che hai scelto per il tuo Rita. Ho trovato da più parti la definizione di Understatement.

E. Nono: Mi piace praticare l’alta qualità in un ambiente che non lo faccia pesare. Il Rita non è mai stato “pettinato” è sempre restato giustamente elegante, con un approccio molto rilassato, dato che lo scopo principale è quello di fare sentire sempre le persone a proprio agio. Non mi piacciono i posti ingessati: in effetti per certi aspetti aiuta, perché puoi chiedere prezzi più alti. D’altra parte, personalmente, mi annoiano i posti pretenziosi, glaciali... io voglio calore, allegria, che la gente si diverta, la musica alta, mi piace creare vari momenti della giornata: l’aperitivo è più delicato, con musica jazz rilassante, momenti che fotografano quel chill-out del dopo lavoro. Successivamente con il crescere della serata crescono i volumi, l’ingaggio con le persone, mi piace fare un po’ di casino.

M. Lanza: Come definiresti il Rita?

E. Nono: Mi piace definirlo un “International Neighbourhood Bar”, un bar di quartiere con le sue caratteristiche di accoglienza e di frequentatori fissi, per il resto è un porto di mare, arriva gente di tutto il mondo che possono essere manager, milionari indiani mandati da hotel a 5 stelle, grazie alla conoscenza e all’affetto reciproco con gli albergatori dei cinque stelle di Milano, e poi ci può essere l’artista e lo scrittore... è molto eterogeneo. Il momento più bello è quando hai il bancone da 20 posti, pieno di gente diversa da tutto il mondo, che beve un cocktail dietro l’altro. Arriva quella vibrazione che si accende e diventa particolarmente alta. Bellissimo.

M. Lanza: Mixology delle energie vive... e cosa mi dici di Mr. Three & Bros Ginger Falernum? Inizierei con lo spiegare cosa sia il falernum (si trova di tutto in giro...)

E. Nono: Il discorso sul falernum è molto articolato. Nasce a metà dell’800 ed era legato all'economia domestica degli schiavi a Barbados, nello stesso modo di altri prodotti all’interno delle colonie dei Caraibi, sempre collegati alla produzione locale.
A Barbados c’era molto zenzero e altre spezie tipiche, ed ecco il nostro falernum con zenzero, agrumi e spezie della cucina tradizionale creola.
È diventato famoso nel 1935 quando quel gran "arraffone" di Ernest Raymond Beaumont Gantt, meglio noto come Don the Beachcomberha inventato il genere “tiki”, importandolo negli USA a Hollywood, mischiando la cocktelleria tropicale con le sue esperienze caraibiche nel periodo del proibizionismo... Un mondo emblematico, per il quale ha “rubato” il falernum per caratterizzare il tiki.

M. Lanza: Ma come mai il falernum? Solitamente i tuoi colleghi finiscono sul gin o su un amaro...

E. Nono: Semplice e genuina curiosità: ho adottato la ricetta senza sapere cosa stavo facendo, l’ho sistemata come piaceva a me e ho iniziato una produzione domestica, per mettere dei nuovi colori sulla mia tavolozza. La gente ha iniziato a chiedermelo a prescindere dalla miscelazione. Da lì, con Memfi Baracco di Compagnia dei Caraibi, dopo esserci bevuti uno shot assieme, ci siamo guardati e detti “Perché non ci facciamo un prodotto da vendita?” ed è nato Mr. Three.

M. Lanza: E poi, rilevata la Locanda Greca di fronte al Rita, hai aperto il Rita's Tiki Room, un tipo di locale inesistente a Milano, fino a quel momento...

E. Nono: È lo stile che hanno inventato negli anni ‘30 e portato a Hollywood da Don the Beachcomber, e Victor Bergeron - Trader Vic - che si occupava più della cucina, unendo ciò che era più in voga al momento, quella cantonese, assieme alla polinesiana, quindi un grande mix... e lo abbiamo proposto anche noi e sta andando alla grande.

M. Lanza: Cosa consiglieresti a un ragazzo che si vuole cimentare in questa esperienza?

E. Nono: Trovare una propria identità, perseguire i propri obiettivi pedissequamente, non accontentarsi mai di quello che si impara, ma cercare sempre qualcosa di nuovo e senza bruciare le tappe, perché sono fondamentali, anche quelle di formazione. Vedo certi ragazzi, bravissimi al bancone, ma che non sanno lavare i bicchieri, invece la parte artigianale è prioritaria, occorre sapere fare tutto, perché un giorno sarai tu a far fare e dovrai essere il motore che spingerà gli altri. E guardo con simpatia chi ha fatto esperienza all’estero, perché è fondamentale, l’estero ti apre la mente.

M. Lanza: E poi, rilevata la Locanda Greca di fronte al Rita, hai aperto il Rita's Tiki Room, un tipo di locale inesistente a Milano, fino a quel momento...

E. Nono: È lo stile che hanno inventato negli anni ‘30 e portato a Hollywood da Don the Beachcomber, e Victor Bergeron - Trader Vic - che si occupava più della cucina, unendo ciò che era più in voga al momento, quella cantonese, assieme alla polinesiana, quindi un grande mix... e lo abbiamo proposto anche noi e sta andando alla grande.

M. Lanza: Cosa consiglieresti a un ragazzo che si vuole cimentare in questa esperienza?

E. Nono: Trovare una propria identità, perseguire i propri obiettivi pedissequamente, non accontentarsi mai di quello che si impara, ma cercare sempre qualcosa di nuovo e senza bruciare le tappe, perché sono fondamentali, anche quelle di formazione. Vedo certi ragazzi, bravissimi al bancone, ma che non sanno lavare i bicchieri, invece la parte artigianale è prioritaria, occorre sapere fare tutto, perché un giorno sarai tu a far fare e dovrai essere il motore che spingerà gli altri. E guardo con simpatia chi ha fatto esperienza all’estero, perché è fondamentale, l’estero ti apre la mente.

Marina Lanza

Marina Lanza

In spola tra Milano, Asiago, il mare e altrove, è giornalista professionista (Traveller Condé Nast, Style.it, Grazia...). Ama il viaggio quando è lungo, decanta nell'intimo e trasforma. Ama il genere umano quando crea unicità inestimabili. Cogliere, di tutto, lo spirito. Con spirito.

Davide Fasolo

Pittore, illustratore e documentarista. Laureato in Psicologia, con una specifica inclinazione per l’Antropologia, ama viaggiare, mangiare ed è un appassionato di film con Nicolas Cage e di letteratura gialla. Vive a Torino.