Food Fast

Food Fast

Di Diletta Sereni

5 minuti

Nel mio ultimo viaggio a Parigi sono andata a mangiare in un ristorante laotiano, rustico e caotico, con piatti da condividere in mezzo al tavolo. Mi ha colpito trovare una carta dei vini molto ampia e ricercata, erano quasi tutti vini del mondo cosiddetto naturale, prezzi alti, bottiglie pregiate. Mi sono chiesta se sarebbe stato possibile una decina di anni fa: trovare una tale ricerca sul vino per accompagnare cibo semplice ed economico.
 

D. Sereni: Avete in mente altri casi paragonabili?

E. Porta: Di certo negli ultimi anni c’è stato un aumento di attenzione per la carta dei vini da parte delle pizzerie. Prima in pizzeria si beveva solo birra, o bibite analcoliche, senza neanche pensarci, per abitudine.
Oggi alcune pizzerie associano anche il vino alla pizza, e lo comunicano con la stessa evidenza di birre e bibite. Berberè è stata forse la prima pizzeria in cui ho notato questo cambiamento, a Milano. Un caso più recente, sempre a Milano, è Denis, entri e diventa subito chiaro che lì puoi bere del buon vino: c’è la fila di bottiglie dietro al bancone, trovi sul tavolo la carta degli champagne... Poi non conosco i numeri, non so poi quanta gente beva effettivamente il vino con la pizza.

P. Vergano: Però non è una cosa nuova nel mondo della pizza: è quello che faceva I Tigli di San Bonifacio già trent’anni fa, accompagnare la pizza a una grandissima carta dei vini. Sono casi di pizzerie che si pensano più come ristoranti, ma al di là di questi non mi pare che il fenomeno abbia mai davvero preso il largo. Solo di recente se ne iniziano a vedere di più, ma sono tutte nuove pizzerie che fanno un lavoro anche sulla materia prima del cibo. E sono anche pizzerie dove può salire il costo di quello che bevi. La birra costa tre euro, ma un vino buono a tre euro esiste? Buono per chi beve e con un guadagno per chi lo vende?

"Oggi alcune pizzerie associano anche il vino alla pizza..."
"Oggi alcune pizzerie associano anche il vino alla pizza..."

D. Sereni: E fuori dalle pizzerie?

P. Vergano: L'anno scorso sono stato ad Amsterdam in un posto che faceva solo tacos: tacos fatti bene, era in un garage e aveva tutti i vini che avrei voluto bere dopo aver fatto una maratona di 42 chilometri. Per me era il paradiso.

E. Porta: Sì, c'è una nuova ristorazione così, non basata sulle portate, sui menù degustazione, ma sulle varianti di un solo tipo di piatto, cibi semplici come tacos, hamburgher, bao e in questi posti capita di trovare un'attenzione per il vino.
Secondo me però la ragione di questo abbinamento per così dire “nuovo” non dipende dai cibi in sé, ma dal fatto che chi apre questi posti aveva già da prima una passione per il vino e se la porta anche lì.

D. Sereni: Vi sembra che anche i cocktail stiano filtrando in questo filone di ristorazione più informale?

P. Vergano: A me è capitato di trovare cocktail in posti molto di moda, a New York o a Londra, posti che farei rientrare nella categoria dei bar con cucina, dove però il cibo mi sembrava avesse più che altro la funzione di tamponare l’alcol, detto proprio brutalmente.
Se c’era un pairing riguardava più i drink analcolici. Poi però è vero che ad esempio nel mio ristorante osservo
un forte aumento delle persone che chiedono un cocktail leggero prima di mangiare, e quindi mi sto attrezzando per rispondere a questa richiesta.

E. Porta: Io ho fatto un giro a Parigi in quelli che vengono definiti listening bar, che ora sono molto di moda e hanno la coda fuori, posti come Bambino, Fréquences, Stéréo. Il concetto sarebbe sedersi, guardare il dj che mette i dischi, sorseggiare un drink straordinario, magari mangiare qualcosa, mentre ascolti musica straordinaria che esce da un impianto di alta fedeltà.
Una specie di orgia dei sensi. Ma la realtà è diversa, ci ho trovato per ora solo una tendenza e anche acerba, molto concentrata sullo stile. Hanno carte con vini naturali buoni, champagne buoni, ora anche cocktail, perché sono carte che devono incontrare i gusti di tanta gente e allo stesso tempo essere cool.
Diciamo che forse, più in generale, e soprattutto dopo il Covid, la gente ha meno voglia di stare al ristorante a farsi spiegare le portate. Va a mangiare o bere fuori per stare insieme ai propri amici e conversare, magari si fida dell’oste o del ristoratore, ma non vuole tante spiegazioni o cerimonie su quello che mangia e che beve. Da questo punto di partenza, credo, le cose siano cambiate o stiano cambiando.

È arrivato il momento dei listening bar?
È arrivato il momento dei listening bar?
Diletta Sereni

Diletta Sereni

Dirige L’Integrale, rivista-libro pubblicata Iperborea che racconta il mondo e le persone attraverso la cultura e le storie di cibo. Ha una rubrica su "Elle" e scrive su varie testate. Ha insegnato semiotica a IED Milano.