Il codice segreto del vino giapponese

Il codice segreto del vino giapponese

Di Anita Franzon

Illustrazione di Silvia Gariglio

3 minuti

Il treno fischia, il vagone rallenta, stridono le rotaie, le porte si aprono sbuffando.

Prima fermata: Giappone.

Alla stazione di Shiojiri, il centro più importante della Kikyogahara Wine Valleyprefettura di Nagano, l'uva ciondola dal pergolato tra un binario e l'altro accogliendo il visitatore nel primo e unico vigneto ferroviario al mondo. L'insolita vigna, oggi accudita da volontari pendolari, venne creata nel 1988 per promuovere la cultura del vino in un'area enologicamente emergente, nonostante sia considerata una delle regioni vinicole più antiche del Giappone. Qui la coltivazione della vite risale alla metà del XIX secolo, ma per il conteggio delle cantine bastano due mani.

La maggior parte delle circa 300 aziende vinicole di tutto il Paese si concentra, invece, nella prefettura di Yamanashi, a un'ora e mezzo di treno a ovest di Tokyo e ai piedi del monte-vulcano Fuji. In particolare, nella Koshu Valley, che ha per fulcro la località di Katsunuma, viene coltivato l'omonimo vitigno koshu, considerato ormai autoctono, anche se gli studi genetici ne fanno risalire l'origine nella storica culla del vino, il Caucaso.

Il koshu sarebbe, però, giunto in Giappone più di mille anni fa attraverso la Via della Seta, e non mancano le storie leggendarie che ne raccontano la misteriosa comparsa dopo che un monaco ebbe la visione di Nyorai, il Buddha della medicina, con un grappolo d'uva in mano. Venne allora costruito un tempio che si trova ancora oggi nella prefettura di Yamanashi, ma per secoli l'uva fu coltivata principalmente per scopi medici o per la tavola. Le prime vinificazioni sperimentali risalgono a un tempo molto più recente, ovvero al periodo Meiji del regno illuminato (1868-1912).

Nonostante dal cielo provengano piogge torrenziali e la terra, spesso troppo fertile e acida, sia stata in passato considerata poco adatta a una viticoltura di successo, i giapponesi - ostinati per natura - hanno individuato le aree più adatte, selezionato le uve idonee (sia locali che internazionali) e migliorato le tecniche di coltivazione per puntare verso una viticoltura di alta qualità. Inoltre, dato che il riscaldamento globale non ha risparmiato queste terre, molti produttori si stanno spingendo verso la fredda isola settentrionale di Hokkaidō, dove vengono coltivati perlopiù vitigni internazionali adatti a un clima fresco, come il pinot nero, impiegato anche per la produzione di spumanti: l'ultima frontiera del vino nipponico.

«Quando si è determinati, l'impossibile non esiste: allora si possono muovere cielo e terra. Ma quando l'uomo è privo di coraggio, non può persuadersene. Muovere cielo e terra senza sforzo è una semplice questione di concentrazione. Chi è impaziente finisce per rovinare tutto e non riesce a compiere grandi imprese», si legge nella Hagakure, il codice segreto dei Samurai di Yamamoto Tsunetomo.
Attraverso significativi aneddoti e preziosi consigli, un allievo di Tsunetomo svelò le regole di comportamento per antichi guerrieri dall'animo nobile. Si tratta di lezioni di vita che i giapponesi seguono ancora oggi e che si traducono nella volontà di voler raggiungere gli obiettivi con determinazione e coraggio.

Così, nonostante gli ostacoli, i viticoltori come odierni samurai coltivano con il sistema tanashiki (la pergola) la vite di koshu prendendosi cura di ciascun grappolo per proteggere i delicati acini dalle intemperie. Con pazienza e dedizione, ogni frutto viene dotato di un ombrellino di carta tramite un vero e proprio origami, termine giapponese che indica l'arte di piegare la carta e rivela l'estrema attenzione ai dettagli come peculiarità di questo popolo.

Dalla meticolosa viticoltura applicata alle uve rosa del koshu si ottengono vini dalle sfumature delicate, dai profumi leggiadri di yuzu (agrume giapponese), fiori d'arancio, pera, pesca, gelsomino e un corpo leggero, ma mai banale. Sono assaggi sottili, eleganti, minimalisti, ma anche versatili e in grado di abbinarsi perfettamente, senza mai sovrastarli, ai sapori della cucina nipponica esattamente come ha fatto, finora, il famoso vino di riso: il Sake.

Insieme al koshu, un'altra uva locale a dare ottimi risultati è il muscat Bailey A, ibrido creato negli anni Venti con lo scopo di ottenere una varietà resistente al clima umido del Giappone. Il risultato è un vitigno che permette la produzione di profumati vini dolci, anche se alcune cantine stanno ora sperimentando la versione secca.

Dal 2010 le due uve autoctone sono state inserite nella “Lista internazionale delle varietà di vite e dei loro sinonimi” stilata dall'Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (OIV).
Questo riconoscimento ha segnato una svolta per la produzione di vino giapponese, che negli ultimi dieci anni ha fatto passi da gigante.

Come insegna ancora una volta il codice Hagakure, ormai non più così segreto: «le grandi imprese non si compiono da sobri».

E i giapponesi, sempre più ebbri di buon vino, stanno compiendo la loro grande impresa enologica portando all'attenzione della critica e del mercato internazionale la nuova viticoltura del Sol Levante.

Anita Franzon

Anita Franzon

Piemontese di nascita, vive tra l'Italia e l'Oregon. Viaggia per lavoro e lavora per viaggiare, intanto beve e studia il vino. Scrive guide per Lonely Planet e racconta i suoi vagabondaggi tra vigne e cantine su blog e riviste di settore.

Silvia Gariglio

Vive a Torino dove lavora come illustratrice freelance. La tecnica che utilizza maggiormente è l'acquerello su carta: lascia che siano i movimenti dell'acqua e la sovrapposizione delle macchie di colore a portare alla luce le forme e a dare risalto a ombre e volumi.