Il vino nella letteratura di Paolo Monelli

Il vino nella letteratura di Paolo Monelli

Di Anita Franzon

Illustrazione di Silvia Gariglio

3 minuti

Anni Trenta. Seduto alla sua scrivania con l'innata eleganza degli uomini del Novecento, il giornalista Paolo Monelli picchietta sui tasti della macchina da scrivere che fa capolino tra pile di carta e fogli di giornale.
C'è una guerra mondiale alle spalle, l'altra è alle porte. Nulla, però, impedisce allo scrittore emiliano di perdere l'arguzia e quel senso dell'umorismo che lo accompagneranno per tutta una vita iniziata nel secolo precedente e terminata quasi cent'anni più tardi nel 1984.

Scrittore dotto, innanzitutto, ma anche giornalista, corrispondente di guerra e dall'estero, fotografo, viaggiatore curioso, gourmand e gran bevitore, Paolo Monelli fu tra i primi a fornire, attraverso la lente del suo inseparabile monocolo - simbolo di un narratore dandy e d'altri tempi - dettagliati e divertenti racconti di un'Italia ricca di osterie del buon cibo e del buon vino.

Così l'enogastronomia entrò a far parte delle pagine di una letteratura colta, ma mai presa troppo sul serio e forse anche per questo motivo ancora così attuale.

Giornalista, corrispondente di guerra, fotografo, viaggiatore curioso e gran bevitore: Paolo Monelli.
Giornalista, corrispondente di guerra, fotografo, viaggiatore curioso e gran bevitore: Paolo Monelli.

Il Ghiottone errante (1935) e, più tardi, O.P. ossia il vero Bevitore (1963), entrambi libri accompagnati dalle illustrazioni di Giuseppe Novello, sono precursori di una letteratura del viaggio enogastronomico da cui prendere esempio in quanto a finezza, riferimenti culturali e vigore delle immagini ricreate. Lo scrittore aveva capito che per descrivere un piatto o, ancor più, raccontare un vino, sarebbe stato necessario ricorrere alla fantasia, alla sinestesia, alsogno; in una parola: alla letteratura.

“Il vino barolo dà prima di tutto godimento all’occhio. Questo che bevo è di venerabile età, ha tredici anni; nel suo colore di caldo mattone rivedo le torri bolognesi ardere contro un cielo tempestoso nell’improvvisa schiarita del tramonto. Poi viene il gusto; quel suo modo suadente e pur energico di prender possesso del palato, con saporosa pienezza, con asciutto vigore. È onestissimo. Non dà alle gambe, non dà alla testa, prepara un sonno calmo e senza sogni, la mattina dopo vi svegliate chiedendo al mondo una battaglia da vincere”.
(P. Monelli, Il ghiottone errante, Slow Food Editore, Bra 2016, pp. 41-42)

Con il fedele e curiosamente astemio compagno di viaggio Novello, lo scrittore Monelli percorse lo Stivale alla ricerca di nuovi incontri, osti e osterie, vini e storie di vita ebbra, ma non per questo spensierata. Dietro a ogni riga c'è l'ombra di un'Italia che soffre, di una società che fatica a emergere dalla povertà, di ferite ancora aperte, ma che con una buona bottiglia di vino non sono più così dolorose. Ne è un esempio ancora più precoce, nonché primo sodalizio tra scrittore e illustratore reduci dalla Grande Guerra a cui entrambi avevano partecipato arruolandosi nel corpo degli Alpini, il volume di racconti e vignette umoristiche intitolato 
La guerra è bella ma è scomoda (1929). Ma è già nel 1921, con la pubblicazione di Le scarpe al sole. Cronache di gaie e tristi avventure di alpini, di muli e di vino, che s'insinua nel giovane narratore la curiosità verso il nettare di Bacco come mezzo per scrivere storie tanto “gaie” quanto “tristi”, ma sempre profondamente umane.

Il sangiovese [di Romagna] è il giusto premio di una corsa in bicicletta, di una trottata con questi cavalli impetuosi di Romagna.
È il vino delle rivoluzioni, delle spedizioni punitive. Ondeggia come una bandiera sui generosi tumulti, rifà nuove le ugole dopo le fiere canzoni. Non è vino da essere centellinato, ovattato, intiepidito. Fresco com'esce di cantina, va tracannato a bicchieri pieni (…); è impetuoso, ma leale. Il romagnolo ci s'avvolge come nelle pieghe del suo mantello, e va animoso incontro alla sua guerra: s'a càsc a càsc in tèra, 'zidèint a chi 'm tol sò, se cado, cado per terra, accidenti a chi mi tira su
”.
(P. Monelli, Il ghiottone errante, Slow Food Editore, Bra 2016, pp. 41-93)

La mitica prima edizione de "Il ghiottone errante".
La mitica prima edizione de "Il ghiottone errante".

Di vino è piena la letteratura, fin dall'antichità. Ma Paolo Monelli è stato il primo autore italiano (prima di lui solo il tedesco Hans Barth che, nel 1910, inaugurò il genere della letteratura odeporica ed enogastronomica con la pubblicazione di Osteria, guida spirituale delle osterie italiane da Venezia a Capri) ad andare alla ricerca delle buone cose da bere e da mangiare come filo narrativo di cui, però, sempre più comunicatori del gusto non conoscono le basi storiche e letterarie.
Riprendere tramite un viaggio - questa volta tra i libri - il lavoro dei precursori a volte dimenticati della critica enologica moderna, è un modo per migliorare la divulgazione di un sapere non solo con lo scopo di esserne promotori, ma soprattutto, come dice lo stesso Monelli, per ribadire la definizione di chiunque si consideri “Optimus Potor”, ossia un vero bevitore e intenditore di vino:

Il vero bevitore non si vanta mai di essere tale e si astiene dal dar consigli in questa materia se non richiesto. (…) Ma offrendo un prodotto raro e prezioso si astiene dal presentarlo con solennità, o del vantarsi della sua abilità per averne fatta la scoperta; contentandosi di farne la storia, ed accompagnarla magari con un aneddoto inedito”.
(P. Monelli, O.P. ossia il vero bevitore, Longanesi, Milano 1981 seconda edizione, p. 75)

"O.P. ossia il vero Bevitore " un volume che tutti gli appassionati di vino dovrebbero avere in casa.
"O.P. ossia il vero Bevitore " un volume che tutti gli appassionati di vino dovrebbero avere in casa.
Anita Franzon

Anita Franzon

Piemontese di nascita, vive tra l'Italia e l'Oregon. Viaggia per lavoro e lavora per viaggiare, intanto beve e studia il vino. Scrive guide per Lonely Planet e racconta i suoi vagabondaggi tra vigne e cantine su blog e riviste di settore.

Silvia Gariglio

Vive a Torino dove lavora come illustratrice freelance. La tecnica che utilizza maggiormente è l'acquerello su carta: lascia che siano i movimenti dell'acqua e la sovrapposizione delle macchie di colore a portare alla luce le forme e a dare risalto a ombre e volumi.