Spesso si parla di un viaggio come di un momento chiuso tra due date: quella di partenza e quella di ritorno. In realtà le fasi di un viaggio sono tre: la preparazione, il viaggio stesso e ciò che ne rimane.
La prima fase può durare a lungo o essere un momento fugace, ma è spesso carica di aspettative, immaginazione e, talvolta, anche di un po' di ansia.
La seconda fase, quella del viaggio stesso, è il cuore pulsante dell'esperienza. È il momento in cui tutte le aspettative si materializzano, a volte confermandosi, altre volte sorprendendoci con imprevisti. È una fase che ha un tempo ben delimitato, fatto di giorni, ore e minuti. Ma nonostante questo, le esperienze vissute possono essere talmente intense da sembrare infinite.
È però la terza fase ad essere la più intrigante, perché è quella che rimane addosso o dentro di noi per un periodo indefinito. È la fase che ci accompagna al ritorno a casa, quando il viaggio fisico è terminato, ma il viaggio interiore continua. Questa fase può durare giorni, mesi o addirittura anni, poiché ciò che abbiamo vissuto durante il viaggio si sedimenta dentro di noi, arricchendoci e, a volte, cambiandoci.
Mi trovo a scrivere ora, di ritorno da un viaggio estivo in Francia, sotto il sole della mia città, rinfrescato e consolato da un goccio di Sathenay Crème de Cassis dentro un bicchiere di rosé provenzale, e ripassando nella testa ciò che mi manca del tempo appena trascorso. Le immagini delle colline di Provenza, dei piccoli villaggi incastonati tra i vigneti, delle stradine acciottolate che sembravano sussurrare storie antiche.
E mi rendo conto che indosso un cappello di paglia intrecciato, altro ricordo di viaggio, stavolta in Messico, ad inizio anno: l'ho comprato mentre visitavo le rovine azteche di Teotihuacan, per ripararmi dal vento caldo che mi bruciava le labbra. Ricordo ancora la sensazione del sole cocente sulla pelle. Di lì a poche ore mi sarei immerso nel confortante cibo messicano e nelle unicità dei distillati locali. Me lo ricordo come fosse ora, il cartello “mezcales y comida” subito fuori dal sito archeologico: scorrevo la lista dei distillati di agave, avido di saperne di più, con la voglia di conoscere qualcosa che non avevo mai provato.
Il Messico è un paese che colpisce i sensi con una forza quasi travolgente: i colori vividi dei mercati, il sapore deciso del cibo, il calore della gente. Ogni angolo nasconde una storia, e ogni incontro è un'opportunità per scoprire qualcosa di nuovo. Dopo qualche giorno, sarei andato a Oaxaca, quindi il mezcal me lo riservavo per quel momento. Allora Sotol!
Che caspita è il Sotol?! Non me lo sapeva spiegare nemmeno il cameriere. Il modo migliore per saperlo era immergersi in quella dolcezza terrosa, in quei sentori caseari, in quelle fermentazioni lunghe che lasciano il segno anche sul distillato: Oro de Coyame, Sotoleros.
Il primo sorso di Sotol è stato una rivelazione: una bevanda così complessa e ricca di sfumature che sembrava volerti sussurrare all'orecchio le caratteristiche della terra da cui proveniva. E poi un ultimo colpo di grazia prima ripartire: la Raicilla Ninfa della Sierra Madre. Ebbro di novità, sazio di vita. Questo è ciò che dovrebbe sentire un viaggiatore, anche senza andare lontano. E poi torni, e ti ricordi le parole di Roberto, l'amico che ti dava consigli prima di partire: “Vedrai, il Messico ti si appiccica dentro, vorrai solo tornare e ritornare”. Accidenti se aveva ragione! È una sensazione che conosco bene, quella nostalgia mista a desiderio di esplorare ancora. Ti entra sottopelle e non ti lascia più.
E quella è la terza fase del viaggio: ciò che rimane addosso. Un misto tra malinconia ed eccitamento, nel quale senza accorgertene ti trovi a fantasticare su cosa hai vissuto e cosa vuoi ancora conoscere, su quale sarà il prossimo capitolo o su come vorresti riscrivere quello appena scritto. Le esperienze vissute si intrecciano con le aspettative per i futuri viaggi, creando un flusso continuo di pensieri e ricordi. La routine quotidiana riprende il suo corso, ma basta poco per riaccendere il ricordo del viaggio: un profumo, un sapore, una musica, e subito ti ritrovi di nuovo lì, a rivivere quei momenti. Appena hai l'occasione cerchi di riassaporare il viaggio: come quando leggi sul menu di un bar “Pox Siglo Cero”, distillato di canna da zucchero e mais messicano. Lo assaggi e, anche se sei seduto nel dehor di un caffè storico torinese, ti si riaccende subito la scintilla del ricordo.
Poi magari, siccome sei a Torino, provi un vermouth, epperò è un vermouth rosso argentino, il Giovannoni. Ti sembra un'idiosincrasia ma in fondo tutto torna: tanti sono gli italiani che cent'anni fa in Argentina hanno portato le loro abitudini.
Com'è bello vedere che un argentino dalle origini italiane – Tato Giovannoni, per l’appunto – ora fa un vermouth in Argentina, e tu lo stai bevendo nella città che ha consacrato il mito di questo vino rinforzato? Sono tutte storie di viaggi e viaggiatori, di gente pragmatica o di sognatori.
Di giri strani che a volte ritornano... magari dopo cent'anni. E chissà che anche Edoardo Nono non abbia deciso di fare il suo Mr. Three & Bros Falernum di ritorno da un viaggio a Long Pond in Jamaica.
E chissà come gli è venuto in mente ai texani di Desert Door di fare un Sotol e ai giapponesi di Santa Maria Gold di fare un Rum...
Senza saperlo, anche se non conosci le storie, in fondo lo sai cos'è successo: è successo che quando si viaggia si sa quando si parte e quando si torna. Ma non si sa mai quando si finisce.