Verticale, vertiginosa, vorticosa. Scapigliata, intricata, caotica, complicata, chiassosa, eppur silenziosa. Genova è così.
È stretta e larga. È mare e terra. È palazzi e caruggi. È luce e buio. È sorriso e mugugno. È contraddittoria, eppur lineare. Genova è un concentrato di Liguria. Anzi, è lo spartiacque della Liguria. Una città pronta a sancire il qua e il là, la Riviera di Ponente e quella di Levante. Con la Lanterna, l’Acquario, il Porto Antico. Dominato dal Bigo e dalla Biosfera dell’archistar Renzo Piano. Genova è come un cocktail, in cui gli opposti si attraggono. E noi vogliamo assecondare la sua polifonia, facendo incontrare l’estro dello chef Marco Visciola, al timone del ristorante Il Marin, con il carisma del bar manager Marco De Francesco, alla guida di Easy Peasy.
Raggiante il Porto Antico. Sorvegliato da quell’Edificio Millo che ospita da oltre dieci anni Eataly. Che a sua volta custodisce un tempio votato al mare: Il Marin. Come il vento che dal pelago soffia verso nell’entroterra, raggiungendo le Langhe. E portando con sé forza ed energia. Lo sa bene Marco Visciola, che al Marin se ne sta sin dall’apertura: prima come sous-chef, poi come executive. Marco: millesimo 1985 e radici tuffate nel paese di Bogliasco, a est di Zêna. Marco che viene dal mare, che rispetta il mare e che rende onore al mare. In tutto quello che pensa e fa. Dentro uno spazio inondato dalla luce. Fra legno e colori chiari, una vetrata panoramica firmata da Piano e frasi-mantra delle ballate di chi Genova l’ha amata e cantata: Fabrizio De André, Gino Paoli, Mario Capello e Ivano Fossati. E poi c’è un orto. O meglio, l’Hortus aeroponico di Agricooltur, azienda di Carignano. Foriero d’erbe aromatiche e basilici. Certo, perché la parte vegetale nella cucina di Marco è fondamentale.
Del resto, come ripete lui: «La Liguria è un orto sospeso sul mare».
E così Marco prende la Liguria e la strizza, la frulla, la passa al setaccio e la concentra in pietanze dal piglio contemporaneo.
Capaci di valorizzare il green e il sea. Tenendo fede a una filiera etica e sostenibile. Il che significa dar voce ai piccoli produttori. Significa affidarsi alla Cooperativa Pescatori Camogli, che possiede l’unica tonnarella rimasta in regione. Ma non solo. Marco fa luce sul pesce azzurro, sul pesce dimenticato e meno urlato. Fa luce sull’intimità del pesce, utilizzandone il quinto quarto, gli scarti, gli avanzi. Come accade nella Finanziera dal mare, trasposizione ittica di una pietanza cult piemontese. Con tanto di salsa (simil fondo bruno) messa a segno recuperando parti di lavorazioni dei pesci. E come succede pure nel Riso luccicante, pinoli e cozze: un riso cotto nel Vermentino di Cà du Ferrà (a Bonassola) e nell’acqua stessa delle cozze. Che non va buttata, ma ripescata. Complici una mantecatura con pinoli e maggiorana e una dorata spruzzata finale. Senza scordare il Tiramisù in versione marina, salata ed eco, con spuma di fegato di rana pescatrice, savoiardi alle alghe bagnati col fondo bruno del pesce (quasi fosse caffè) e spolverata di alga spirulina (al posto del cacao). Un piatto facente parte del menu Maree, la massima espressione del mare mosso e creativo dello chef.
Che compie una magia. Un gesto straordinario, regalando lunga vita al pesce. Come? Facendolo frollare, stagionare, maturare nel Pesciugatore: non solo una speciale cella realizzata da Alessandro Cuomo, ma un vero e proprio Cuomo Method, naturale e brevettato, in grado di monitorare la materia prima lungo tutto il processo di trasformazione, in piena conformità con le normative vigenti in tema di sicurezza alimentare. «È uno strumento straordinario, rivoluzionario. Che fa leva sul controllo del pH, dell’umidità e della temperatura. E vi è un sensore per la diffusione del fumo o del vapore», spiega lo chef. Risultato? Un piatto come il Crudo centenario. In cui il pesce crudo (la ricciola, ad esempio) viene fatta maturare per dieci giorni, per poi essere sposata con una salsa umami, ottenuta dalle lische del pesce frollato, complici cipolla, finocchio e mela verde. Il tutto lasciato cuocere per dieci ore nella futuristica pentola Ocoo. Della serie 10 x 10, uguale a 100.
Ma è con la norcineria di mare che Visciola va oltre l’ostacolo. Portando a tavola La Riserva della Grotta. Un girotondo di salumi ittici, adagiati su un piatto trasparente o su un tagliere in legno. A evocare una degustazione di affettati. Ecco allora il lardo di seppia, insaporito con rosmarino, aglio e salvia e messo a riposo nell’armadio del dry aging per due settimane; la mortadella di tonno e totani, con corredo di pistacchio; il prosciutto di palamita alla salvia, che - impreziosita dal sale e dalle erbe aromatiche - matura per 20-30 giorni; il salame di bonito (stagionato per 40 giorni); il cuore di tonno (messo a relax per due mesi); il prosciutto di tonnetto alletterato (con 45-50 giorni di invecchiamento); e la ’nduja di pesce spada (frollato per una settimana, con peperoncino e paprika). E al centro? Il sancrau, i crauti alla genovese, ma Visciola style. Quindi: un cavolo verza fatto fermentare (con aglio, acciughe e colatura) e servito con aceto, pinoli e maggiorana.
Audace Marco. Che sfodera pure i formaggi di mare. Grazie alla sinergia con l’azienda agricola Il Castagno di Mendatica, in provincia di Imperia. Voilà la prescinseua ai ricci di mare, la robiola alla colatura di alici e la toma alle alghe. Di un mese e di tre mesi di stagionatura. Presentate con composta di cipolle e pan brioche all’aglio orsino. Un lavoro meticoloso, fatto di pazienza, dedizione e attesa. Ma Marco non è solo. In cucina vi sono pure il sous-chef Marco Isola e il giovane Samuele Culasso. Mentre la sala, capitanata dalla restaurant manager Benedetta Canovi, conta sull’expertise della maître Maddalena Profice e del sommelier Alessio Silesu.
Che racconta così le sue origini: «Sono per il 25% cannonau. Per il resto, sangiovese e vermentino».
Ombrosi i caruggi. Attorcigliati, raggomitolati, dedalei, labirintici. Iconici di un’urbe arroccata e tortuosa. Caruggi seriosi e misteriosi, evocati nella deandreiana Crêuza de mä. Caruggi che celano e che svelano lo spirito più autentico di Zêna. «Il mio locale l’ho voluto aprire nei vicoli nascosti della città vecchia. In una zona tranquilla, lontana dalla pazza folla, dalla confusione e dalla movida», spiega con orgoglio Marco De Francesco. «Ma tutti mi chiamano Defra», precisa lui. Annata 1983, genovese che più genovese non si può, studi all’alberghiero e un corso di falegnameria in tasca. E nelle mani. «La passione per il bancone risale all’infanzia. Ricordo che quando mio padre mi portava al circolo a vedere le partite di calcio io mi piazzavo sempre davanti al barman. Amavo osservare il modo in cui parlava, gesticolava e si muoveva. Catturando l’attenzione e prendendosi il centro della scena», rammenta Marco.
Che presto imbocca il vicolo della miscelazione. Una strada in salita. Che lo conduce negli States, in Messico, in Spagna e persino in Alta Badia, a ricoprire il ruolo di bar manager del lussuoso Hotel Cristallo, vicino a Corvara. Ma si sa, quando il canto delle sirene si fa sentire è impossibile resistere. “E così, anche per assecondare i desiderata della mia famiglia, sono tornato. E ho aperto un’insegna capace di rispecchiare e rispettare la mia filosofia, il mio modo di essere, fare e pensare. Ho scovato questo spazio. In Vico Superiore del Ferro 5r. Era una trattoria. Tutta da ristrutturare. E l’ho trasformata in Easy Peasy. Ha due anni. Come mio figlio Nicolas».
Easy Peasy. Un nome allitterante, smart e facile da memorizzare. Ma dal contenuto profondo. «Significa stai tranquillo. Vieni qua, goditi l’attimo e le emozioni. Pur offrendo un servizio puntuale e di altissima qualità, noi vogliamo che gli ospiti si sentano a loro agio, come a casa», precisa Defra. Descrivendo uno spazio che suppergiù conta un’ottantina di metri quadrati. Fra pianoterra e piano superiore. Dove se ne stanno il laboratorio e una saletta, corredata di pianoforte. Perfetta per tirar tardi nei mesi più freddi.
«D’estate invece ci allunghiamo in piazzetta Luccoli», dice felice Marco. Che ha pure costruito il locale a sua immagine e somiglianza. «Certo, l’abbiamo realizzato in modo artigianale. Su misura. Il bancone è tutto in legno, recuperato dai ponteggi, pulito e rimesso a nuovo. E anche le mensole della bottigliera sono in legno. Praticamente è tutto fatto a mano, eccetto le piastrelle. Ho anche creato una struttura ad hoc per valorizzare l’impianto della birra», continua lui. Fiero di un ambiente solido, concreto e materico. Che concentra estro, carisma e follia.
E un po’ folle e fuori dal coro è pure il cocktail che mister Defra ha studiato per il tagliere di salumi marini dello chef Visciola. Della serie, il Marco mixologist che dialoga col Marco cuoco. Il Porto Antico che incontra idealmente i caruggi. «Ho subito pensato a un drink fresco, solare, vigoroso e coraggioso. Ideale per l’estate e soprattutto per accompagnare il pesce crudo. Anche maturato e stagionato come quello di Visciola. Visto che questo è un cocktail che pulisce, rinfresca e resetta il palato, preparando al boccone successivo». Il suo nome? 0-Zên. Per una tripletta di motivi. «Anzitutto perché evoca Zêna. Perché è tutt’altro che calmo, tranquillo e zen. Anzi, è energico, scattante ed esuberante. E poi perché si percepisce un ingrediente che non c’è: zero anguria, eppur si sente l’anguria, grazie al matrimonio fra uno sciroppo di cetriolo e una soda ai frutti rossi. Rigorosamente homemade».
Un drink rosso, dalla carica vibrante. Complici l’acidità del lime, pardon di un fake lime, nato dalla crasi fra acidi citrico e malico; la lieve piccantezza di un bitter al pimento; e l’anima palpitante di un premium dry gin vietnamita. Il Saigon Baigur: proveniente da Ho Chi Minh city e pronto a inanellare una dozzina di botaniche locali, fra le quali la mano di Buddha e i fiori di loto, la cannella e i semi di coriandolo, il pepe nero di Phu Quoc e il cardamomo verde, le radici di angelica e il peperoncino, il frutto del drago e l’anice stellato. «È un gin fragrante e profumato, che ha un non so che di mediterraneo. E sta benissimo col cetriolo», commenta Defra.
Puntiglioso e meticoloso nel suo agere et cogitare. «La nostra è una drink list dal respiro internazionale. Che fa viaggiare.
Dietro ci sono studio, ricerca e sperimentazione. Ogni volta impieghiamo tre-quattro mesi per mettere a punto i nuovi cocktail. Andiamo di sopra, in laboratorio, e ragioniamo», spiega Marco. Orgoglioso del suo super team. «In squadra siamo in cinque. Anche perché Easy Peasy è attivo sette giorni su sette, dalle 18 alle 2 di notte. E nel weekend fino alle 3», prosegue lui. Che rivela il suo distillato del cuore: il mezcal. «Lo amo perché racchiude un mondo. Un po’ come il vino. Del resto, l’agave somiglia alla vite: tutto dipende dal terroir. Dipende se si trova in collina o vicino al mare. Inoltre le agavi, come le viti, hanno bisogno di molti anni prima di essere pronte». Questione di pazienza, dedizione e attesa.
Ingredienti per un drink
45 ml Gin Saigon Baigur
15 ml sciroppo al cetriolo
2 ml fake lime
3 dash bitter al pimento
soda ai frutti rossi
cubone di ghiaccio
Preparazione
Tecnica: build
Bicchiere: tumbler basso
Garnish: bottone di lime
Procedimento
Preparare lo sciroppo al cetriolo. Cuocere a bassa temperatura il cetriolo, recuperare l’acqua rimasta, unirla allo zucchero e ad altre fettine di cetriolo e mettere il tutto sottovuoto.
Preparare il fake lime. Unire acido citrico e acido malico.
Preparare la soda ai frutti rossi. Abbattere more, lamponi e fragoline di bosco. Al momento dell’utilizzo, versare sopra acqua calda, così da raccogliere tutti i succhi della frutta. Mettere in un sifone con la carica.
In un tumbler basso versare il gin Saigon Baigur, il fake lime e il bitter al pimento. Posizionare il cubone di ghiaccio e completare con la soda ai frutti rossi. Dare una leggera mescolata e decorare con un bottone di lime.