Paura e delirio a Las Vegas compie 50 anni

Paura e delirio a Las Vegas compie 50 anni

Di La McMusa

Illustrazione di Matteo Aversano

3 minuti

In principio era Paura e disgusto a Las Vegas ed era un lisergico articolo di giornale destinato a una rivista che non l’avrebbe mai pubblicato. Poi divenne un libro, firmato sempre dallo stesso eccentrico giornalista che aveva scritto l’articolo, il cui nome sarebbe diventato un mito: Hunter S. Thompson. Fu solo una ventina d’anni dopo che quel disgusto divenne delirio e che quell’eccentrico scrittore acquisì un volto pari alla sua carica mitologica: quando uscì il film interpretato da Johnny Depp e Benicio del Toro

Johnny e Hunter divennero talmente amici dopo le riprese del film e i due volti divennero talmente sovrapponibili nell’immaginario pubblico che ancora oggi, a distanza di così tanti anni dal libro e dal film e dal suicidio dello scrittore, chi non conosce nel dettaglio la genesi e i risvolti della storia fa fatica a distinguere i due uomini. E, come scopriremo nelle prossime righe, anche la città che fa da sfondo alla vicenda: l’altrettanto mitica Las Vegas, di cui il reportage di Thompson rimane ancora oggi il più celebre omaggio. 

Ma siamo sicuri che di omaggio si tratti?

La storia prende le mosse da due viaggi che l’autore stesso fece nel 1971 nella Sin City (questo l’eloquente soprannome di Las Vegas) in compagnia dell’avvocato e attivista di origine messicana Oscar Zeta Acosta per seguire la prima volta una gara motociclistica (che alla fine seguì solo per sommi capi) e la seconda volta una conferenza dei procuratori distrettuali sull’uso di droghe pesanti.

In entrambe le occasioni i viaggi di Hunter e del suo compagno si trasformarono in pretesti per compiere un altro genere di trip: quello dentro le deformazioni e le storture del vacillante sogno americano - le promesse della fine degli anni Sessanta erano state brutalmente tradite da Nixon e compagnia - attraverso l’assunzione di acidi, mescalina, erba, etere e cocaina, accompagnati a loro volta da tequila, rum e birra. Il tutto, si scrive nel libro, stipato nel baule di quell’auto che corre nel deserto del Nevada su cui tutta la storia comincia (incipit celebre): “Ci trovavamo da qualche parte nei dintorni di Barstow, sul limite del deserto, quando la droga iniziò a farsi sentire. Ricordo di aver detto qualcosa come “mi sento un po’ fulminato, guida tu”. 

Hunter S. Thompson e l’avvocato - che nel libro e nel film diventano Raoul Duke e Gonzo - entrano a Las Vegas completamente fatti e ci restano per confermare, in una settimana di trip e allucinazioni di vario tipo, che quella è la città degli eccessi e delle uscite di testa, dove quel che si fa lì resta lì: what happens in Vegas stays in Vegas. Però, come spesso accade a chi frequenta Las Vegas da turista (capita anche oggi, ovviamente), i due uomini si limitano a frequentare la città nei suoi luoghi più stereotipati e iconici. Su tutti lo Strip con gli alberghi, i casino e i locali roboanti di colori e luci al neon. 

Se il libro e soprattutto il film hanno creato una mitologia di quei colori, di quelle deformazioni, di quelle stanze d’albergo piene di quadri psichedelici, di quei bagni con le vasche straripanti di allucinazioni, degli ascensori vertiginosi e le slot machine parlanti, gli abitanti di Las Vegas oggi ci direbbero che ci siamo sbagliati: 50 anni dopo la loro città vive ancora di quel mito - basti pensare che ad ogni Halloween ci sono decine di uomini travestiti da Raoul Duke ad ogni angolo dello Strip - ma è un mito falsato e soprattutto parziale.

C’è la Las Vegas dei turisti e delle allucinazioni al neon (non per forza trainate dalla droga), ma c’è anche la città di chi un turista non è, la città dei lavoratori tanto sbeffeggiati nella storia di Thompson (inservienti, gestori dei locali, impiegati dei casinò, addetti all’accoglienza o alle pulizie), la città che sembra respirare su silenzi e in spazi che non hanno niente a che vedere con il tintinnio dei soldi e le luci delle insegne, la città che combatte contro la povertà dei senzatetto e che durante la pandemia ha dovuto fare i conti con l’azzeramento quasi totale della sua vitalità. 

La faccia sobria e malinconica di Las Vegas piace meno di quella ebbra e scintillante. O, almeno, dimostra quant’è dura far morire certi miti per metterne in piedi altri, magari più veritieri.

Una cosa del genere, curiosamente, è successa anche a quella strana accoppiata Johnny Depp-Hunter S. Thompson: nel 2011 l’attore ha nuovamente interpretato lo scrittore in un film intitolato The Rum Diary. Che è anche - e non a caso - il primo libro di Thompson (fu pubblicato nel 1988 con il titolo Cronache del rum). Al cinema è diventato una specie di prequel di Paura e delirio a Las Vegas, ma uscito dopo. Anche qui ci sono ironia tagliente, ritratti impietosi, critiche alla società e vizi vari ma manca la faccia allucinogena e scatenata, manca quel ghigno alienato e scintillante del protagonista che tanto abbiamo amato e che ormai associato alla città.
Las Vegas è uno di quei mondi in cui la realtà supera ogni fantasia… tranne che in letteratura e nel cinema!

La McMusa

La McMusa

La McMusa, alias di Marta Ciccolari Micaldi, porta l'America dei libri in Italia e gli italiani in America. Ha da poco pubblicato per Rizzoli Edizioni il memoir "Sparire qui".

Matteo Aversano

Fumettista e Illustratore dal 2011, torinese di adozione, amichevolmente “Teo”.