Quanto dovrebbe costare un drink e perché

Quanto dovrebbe costare un drink e perché

Di Chiara Buzzi

4 minuti

Caro/a fan di Around The Blog, l’articolo che stai per leggere è il resoconto di uno dei tavoli di discussione sul tema dell’ospitalità, inseriti nel programma di incontri della prima edizione di The She Side, manifestazione milanese ideata per dare spazio alle professioniste della bar industry. 

Professionisti e aziende hanno affrontato temi di grande rilevanza, condividendo prospettive ed esperienze. Da questo confronto sono emersi spunti preziosi, che vogliamo continuare a esplorare insieme a voi. 

Grazie a Chiara Buzzi per averci coinvolto nel progetto The She Side e per la realizzazione dell'articolo.

Gabriele Diverio

Nel tavolo di lavoro realizzato in collaborazione con Compagnia dei Caraibi abbiamo affrontato una sfida attuale per bar e barman: come giustificare l’aumento dei prezzi dei cocktail in un contesto di crescenti costi delle materie prime. Abbiamo esplorato strategie per comunicare la complessità e la maestria dietro ogni drink, paragonandole all’impegno che i ristoranti dedicano ai loro piatti. Si è discusso dell’importanza dello storytelling per valorizzare le ricette, del modo in cui trasmettere il valore di ingredienti e tecniche avanzate, e di strategie per le aziende che lanciano prodotti premium. Il confronto ha toccato temi come il prezzo, il rapporto tra cliente e bartender e le sfide della comunicazione nel settore.

Che in Italia ancora manchi una vera e propria cultura del bar siamo tutti d’accordo.
Il bar inteso come luogo di socialità, come luogo franco di quartiere in cui poter trovare un interlocutore, un rifugio, un buon drink, un amico, è un tassello mancante nel consumatore medio italiano. Nonostante questo, il movimento che ha visto tanti giovani cuochi tornare nelle proprie province, investendo tempo ed energie per progetti che guardano al territorio cercando di raccontarlo con innovazione, in parte ha toccato anche gli operatori del mondo beverage. 

Proprio dalle piccole cittadine, fuori dai grandi centri, parte un movimento silenzioso ma sempre più capace di farsi sentire a livello internazionale, che vede protagonisti bellissimi progetti, coraggiosi, identitari, freschi di energia. Chiaramente non è sempre facile riuscire a fare qualità e trasmetterla, specialmente quando si parla di liquidi anziché di cibo. Se il vino in tutte le sue forme si è guadagnato negli anni molteplici posizionamenti, conquistando fasce sempre più ampie di intenditori e appassionati, per il mondo degli spirits c’è ancora molta strada da fare. 

E proprio a questo proposito, insieme a Compagnia dei Caraibi, con la guida di Filippo Sisti – Spirits Specialist e bartender pluripremiato  abbiamo parlato di drink cost, del limite fino al quale può essere giusto spingersi nel costruire un prodotto performante sulle vendite. Quale prezzo per quale consumatore? Quale comunicazione, di conseguenza, per sostenere le nostre scelte?

Come comunicare il giusto valore di quello che stiamo proponendo se non siamo all’interno di un ristorante stellate o di un hotel cinque stelle? Queste e tante altre domande sono emerse come interrogativi e criticità da parte di molti giovani. Da chi imprende, nella propria realtà, a chi occupa posizioni di responsabile o bar manager per terzi, è importante considerare quanto il percepito del valore di un drink sia ancora lontano dalla soglia di accettazione di spesa da parte di tanta clientela. In questo, l’approccio e l’attitudine restano fondamentali. Non solo storytelling ma spiegazione e racconto di processi, scelte, tecniche, ricerche. Senza che questo debba gravare sul consumatore finale, tuttavia è inevitabile che senza i giusti elementi non si possa sperare che il cliente si avvicini più del dovuto. Per questo, nonostante i trend sembrino altri, dalla discussione corale è emerso come il counter bar, il bancone quindi, sia ancora un luogo cruciale per educare e sensibilizzare la clientela. 

«Il valore percepito di un drink è ancora distante dalla soglia di accettazione della clientela, e per colmare questo divario è fondamentale non solo lo storytelling, ma anche la spiegazione di processi, scelte e tecniche»

Ora che sempre meno drink vengono shakerati, e l’azione dietro il banco sembra essere diminuita, questa esigenza sembra però mettere tutti d’accordo. Non solo. Per alcune realtà – case history raccontate personalmente alla mano –, è emerso quanto una donna bartender rispetto ad un uomo bartender sia più efficace da questo punto di vista. Il suo lavoro e la sua presenza risultano spesso catalizzanti sulla scelta finale del drink, sul tempo di permanenza medio del cliente e sulla cifra spesa. Più volentieri, un cliente indeciso accetta un upselling sul proprio conto se proposto da una barlady mentre non sempre lo sceglie con totale consapevolezza quando proposto da altri. Piccole sfumature, all’interno di un ecosistema sempre delicato, in cui oggi più che mai instaurare un rapporto personale, un contatto visivo, emotivo e professionale con il cliente risulta determinante. 

«I ragazzi sono stati particolarmente partecipi e attivi, propositivi e maturi. Sicuramente, una delle difficoltà emerse, è stata la differenza (con aspetti positivi così come negativi) tra avere un cocktail bar in una città metropolitana o in un piccolo centro. Nel secondo caso i tempi si dilatano, il personale qualificato si trova con meno facilità e serve più tempo per coinvolgere il pubblico locale. Un altro aspetto che mi ha colpito è la scelta di voler sempre più raccontare e proporre drink e cibo insieme, nella speranza forse che il cibo possa aiutare a fare da viatico verso una migliore e sempre più diffusa accettazione del drink. Un dibattito che spero di avere occasione di proseguire e per le quali due ore sono servite esclusivamente a sviscerare solo alcune criticità», ha raccontato Sisti.

Compagnia dei Caraibi ha voluto portare alla luce questi temi per cercare di instaurare un contatto diretto con i suoi principali interlocutori, per trovare strade sempre più efficaci di atterraggio sul mercato e lavorare in complicità di bartender e professionisti del settore. 

Chiara Buzzi

Chiara Buzzi

Piemontese di ferro, dopo studi umanistici, oggi è titolare di due cocktail bar, Rita’s Tiki Room e Rita Cocktail. Racconta storie di cibo e progetti di ristorazione in Italia e nel mondo.