Reincarnazione. Mi hanno innestato questa parola in testa e non riesco a pensare ad altro.
Arrivo a Venezia e la città più metafisica del mondo mi sembra specchiarsi in quelle quattordici lettere: la reincarnazione è il Sottosopra della metafisica.
Poi il mio viaggio continua verso est, lasciandosi alle spalle le geometrie serenissime, e il paesaggio muta: la pianura si fa bosco, l’acqua cheta della laguna diventa quella spumeggiante dei fiumi. Traverso il Tagliamento, il Torre, e poi a lungo costeggio il Natisone. Cascate, foresta, la natura primordiale. Anche qui, tra i tronchi, riecheggia “reincarnazione”.
Finché arrivo in Slovenia, a Kobarid che fu Caporetto, e sull’uscio di Hiša Franko, uno dei migliori ristoranti del mondo, mi accoglie la chef Ana Roš. È colpa di questa donna nata l’ultima notte del 1972, considerata uno dei più grandi cuochi del Pianeta, se da giorni penso alla reincarnazione. Perché così ha intitolato il menu che sto per mangiare, il primo pensato dopo la pandemia. E sul foglio che elenca le ventun corse che mi spettano c’è una frase: “After every rain the sun comes out”
(A. Roš, Hiša Franko, 2021).
Se Ana Roš ha conquistato la classifica Fifty Best e “Chef’s Table” e la Michelin è perché è una selvaggia.
Nel senso letterale: una creatura della selva. Dal bosco trae i suoi ingredienti feticcio: la trota, le mele, le erbe selvatiche.
Un tempo mi disse: “So che le pere di qui non sono le migliori al mondo, ma sono le mie, dunque sono uniche.”
Ha ragione: i gusti che si mangiano qui non si mangiano altrove.
Vale per tutti i piatti, ma soprattutto per quello simbolo: la trota che oggi è servita stagionata con foglie di fico, orzo inoculato e crauti, mela verde con cavolo rapa e servita assieme a una pralina di pancia di trota e polvere di foglie di fico.
“Le trote vengono di là...” mi dice Roš, indicando fuori dalla finestra.
Dalle vetrate si vedono anche le colline su cui crescono le uve e le frutte che diventano i grandi vini – Valter Kramar,
il socio-maitre-sommelier è uno dei più grandi esperti di naturali – e i succhi che accompagnano il pasto. Ad un certo punto poi, quando meno te l’aspetti, arriva un cocktail.
Giunge un piatto che sa di bosco – orzo, cipolla, sambuco, porcini, brodo – e con lui un bicchiere con un grande cubo di ghiaccio in cui è stampato il nome del locale. “Fa parte dell’abbinamento che abbiamo chiamato “Funky”, per rompere gli schemi”, mi dicono. È una stout fatta da Valter (ha un piccolo birrificio giù in paese), con un distillato di Rebula poi invecchiato in botti di rovere per sei anni e poi miscelato con una “Coffee Kombucha” per dare acidità al cocktail.
È buono. È perfetto per l’abbinamento.
Ed è come ci si aspetta un cocktail a Hiša Franko: racconta una storia che parla del posto in cui siamo.
Nota per il viaggiatore: poi mi sono spostato a Lubiana e i drink migliori li ho bevuti in quel piccolo gioiellino che è il Kolibri Cocktail Bar.