Tessa e Robin, l’Africa, gli elefanti da salvare. La creazione di un gin ispirato che unisce tutti i punti e vince un sacco di premi.
La storia di Elephant Gin è una storia di grande passione e di intento puro, che vede come protagonisti Robin e Tessa Gerlach, innamorati follemente dell’Africa, che consegnano a noi in un aperitivo al tramonto: il “Sundowner".
Il movente è la Elephant Gin Foundation, ente no-profit che sta contribuendo fattivamente, alla salvaguardia di una natura straordinaria e unica, e al benessere delle comunità locali.
Il risultato è un distillato eccellente e unico del suo genere.
Ed è con Tessa, responsabile della comunicazione e del marketing, che entriamo nell’universo di Elephant Gin.
M. Lanza: Come è cominciato tutto?
T. Gerlach: La nostra prima bottiglia è uscita nel settembre del 2013. All’inizio era solo un hobby che occupava il nostro tempo libero, ma sono bastati pochi mesi perché diventasse la nostra attività principale.
M. Lanza: Sia tu che tuo marito arrivate da mondi lontani anni luce da quello attuale. Lui è laureato in marketing e finanza e tu eri nell’industria cinematografica. Inoltre, siete entrambi tedeschi, ma avete studiato a Londra. Come vi siete incontrati?
T. Gerlach: Io me ne ero andata dalla Germania, già a 15 anni, per vivere a Parigi. Ho incontrato Robin a Londra nel 2009 e ci siamo rimasti per circa 10 anni. Quando abbiamo iniziato, nel 2011, non eravamo ancora sposati. In effetti ne è passato di tempo…
M. Lanza: E come è successo che vi siete dedicati agli elefanti?
T. Gerlach: Per passione. Ci sono due grandi passioni dietro il nostro prodotto. Io lavoravo alla Universal Pictures e avevo deciso di prendermi una pausa, con un viaggio nel Sud dell’Africa, per un lavoro di fotografia.
Una volta arrivata lì, sono rimasta incantata da quella natura e, durante un tour in Kenya, mi sono imbattuta in Digs Pascoe, CEO Space for Elephant, nella Pongola Game Reserve, un rifugio per elefanti fondato negli anni ‘80, tuttora tra le fondazioni che finanziamo.
Un incontro che ha cambiato la mia vita.
Quel contatto ravvicinato mi ha fatto capire quanto quegli animali fossero intelligenti e sensibili.
Lasciata la fondazione, non riuscivo a pensare ad altro e avevo deciso che sarei stata lì per cercare di fare qualcosa di concreto. Ma non parlavo la lingua del posto, nè lo zulu nè lo swaili o il kenyota, e come persona singola, in quel Paese, era difficile essere davvero d’aiuto, così mi sono ripromessa di tornare a casa e di trovare lì un modo per dare una mano concreta. Occorrevano tantissimi soldi e doveva essere un’impresa importante.
M. Lanza: C’era già Robin con te?
T. Gerlach: Non ancora, ma era in Africa in quello stesso periodo, in zone diverse: prima in Kenya e poi sul Kilimangiaro. Anche lui si era innamorato follemente di quella terra.
Così, abbiamo condiviso le nostre reciproche esperienze e abbiamo iniziato a viaggiare in Africa assieme.
E fu che, alla fine di un giorno, in piena savana, dopo aver visitato praterie e cascate, abbiamo scoperto la tradizione del "Sundowner", un aperitivo al tramonto, solitamente un gin tonic, un classico da retaggio inglese.
Un’esperienza spettacolare e abbiamo così pensato di formulare un gin speciale, per importarla da noi, in Europa e nel resto del mondo.
Così Robin, che ha un background finanziario, ha iniziato a lavorare per la parte economica: lui è una persona molto intelligente e ha trovato il modo di progettare il lancio di un prodotto in termini internazionali, anche se creato artigianalmente.
Si è deciso di formulare questo distillato utilizzando solo botaniche africane e abbiamo girato a lungo per poter trovare le migliori: sono 14, per portare il sapore e i profumi dell’Africa in Europa.
Una volta tornati in Germania abbiamo fatto una gran quantità di test in distilleria, utilizzando, come base, le nostre mele fresche.
Messo a punto il gin, avevamo anche trovato il modo di aiutare i nostri amati pachidermi...
M. Lanza: Quindi Elephant Gin è nato proprio con il fine di salvare gli elefanti.
T. Gerlach: Esattamente. Abbiamo fatto sì che ogni pezzo portasse ben il 15% dei suoi utili alle fondazioni per la protezione degli elefanti. E questo è avvenuto fin dalla primissima bottiglia.
Abbiamo superato il milione di euro in finanziamenti! Non è poco e ci vuole molto lavoro per far tornare i conti con tutto il resto, ma il progetto è sempre stato quello, fin dall’inizio e ci siamo mossi per portarlo a termine. In seguito, ci sono stati sviluppi anche in tante altre direzioni: ad esempio, la fondazione di Digs Pascoe, è anche Wild Life Spirits Educational Center un centro scolastico e di educazione per le popolazioni locali del Sud dell’Africa.
M. Lanza: Straordinario! Ma perché proprio il gin e non qualcosa che avesse già a che fare con i settori dove eravate già affermati, come la finanza o il cinema?
T. Gerlach: Avevamo già diversi amici nell’attività dei locali e dei cocktail, così alla fine, il mondo delle distilleria arrivò nel momento giusto, con l’ispirazione giusta, a unire tutti i puntini.
L’intera operazione Elephant Gin è nata da un moto di pura passione: quella era la soluzione che riuniva non solo l’ottenimento di quell’obiettivo, ma anche l’avvicinamento della gente all’Africa, a quel mondo, a quello spirito, a quella natura.
L’alternativa poteva essere il vendere T-Shirt o le mie fotografie o che altro, ma con Elephant Gin abbiamo fatto in modo di portare fuori dal continente africano un’esperienza autentica come quella del "Sundowner".
Quindi, dato che anche in Europa c’è il tramonto, con Elephant Gin invitiamo a viverlo in modo diverso, sorseggiando un drink con autentiche botaniche africane, per immergersi nella medesima esperienza che ci ha entusiasmato.
M. Lanza: La chiusura di un cerchio perfetto, quasi si fosse innescata una fiamma che era già pronta a partire, o si fosse seguito un tragitto che era già lì pronto per essere percorso. Allora, ti chiedo: a pensare a te da bambina, ai desideri e ai sogni che avevi allora, ti ci ritrovi nella Tessa di adesso?
T. Gerlach: Ero una bambina che ha sempre amato moltissimo gli animali e la natura e ora, pensando a me a quell’età, riesco a vedere che c’è un pattern in tutto questo.
In effetti, in quel viaggio in Africa, realizzo che c’era anche quella parte di me a spingermi in modo incondizionato, profondo e totale, nella necessità di fare qualcosa.
Sì, c’era già qualcosa in me che mi aveva spinto fino a lì e quando mi sono trovata a parlare con Pascoe, di notte, davanti al falò, e lui ha iniziato a raccontarmi un sacco di cose a spiegarmi quale fosse la loro situazione, quel qualcosa è salito in me, tanto da farmi mollare tutto, con la necessità assoluta di dedicarmi a quello.
Quindi, certo, potrei dire che avvertivo già una sorta d’urgenza dentro di me e che qualcosa sarebbe dovuto accadere, e quel viaggio lo ha fatto uscire”.
M. Lanza: E adesso?
T. Gerlach: Ora il mio interesse principale è nel ricevere i risultati di come evolvono i progetti della fondazioni. Mi dà tanta soddisfazione sentirmi così a posto, nell’aver fatto la cosa giusta, perché è dura: quel 15% che noi diamo alle fondazioni è “doloroso”, non è così facile dare così tanto. Solitamente, quando si trova che c’è un contributo per qualcosa, si tratta del 1% o poco più, ma non sarebbe stato sufficiente.
M. Lanza: Appena mi è arrivato il vostro materiale con le foto, i nomi degli elefanti e la loro storia sul vostro sito ufficiale, mi avete ricordato il lavoro di Nick Brand (regista e fotografo), che con le sue foto ha portato dei messaggi potentissimi contro il bracconaggio in Africa.
T. Gerlach: Abbiamo incontrato Nick Brandt! Una persona gradevolissima: vero, le sue foto sono potenti, folgoranti. Abbiamo anche lavorato assieme per la sua Big Life Foundation.
M. Lanza: Ciò che state facendo, e come lo fate, è emozionante. Nick Brandt ha contribuito usando la sua arte e voi state usando tutta la vostra abilità e l’attenzione nel seguire tutto, personalmente: è possibile sapere cosa fanno esattamente le fondazioni che finanziate?
T. Gerlach: Le fondazioni sono diverse e a ciascuna è affidato un progetto proprio.
Abbiamo iniziato con Space for Elephant e Big Life. Tramite loro stiamo supportando 55 ranger anti-bracconaggio, con salari e tutti i servizi necessari per loro e per le loro famiglie. Si è molto attivi in Kenya e Tanzania, non solo per il bracconaggio ma anche per un gran problema che si sta verificando con le comunità che crescono a vista d’occhio e prendono sempre più terreno. Chiaro, tutti hanno diritto di vivere, ma ci sono seri conflitti quando occupano con campi e coltivazioni i passaggi utilizzati dai grandi animali per la migrazione. Così va a finire che, con il loro transito, distruggano i raccolti.
A loro volta, le comunità hanno iniziato a uccidere gli elefanti, ma per necessità.
Molti dei nostri ranger provengono da quelle stesse comunità e stanno facendo un gran lavoro di educazione nel rispetto della natura selvaggia e li informano che, se un elefante attraversa i loro territori, lo devono lasciar passare e poi chiamare la fondazione per avere un risarcimento dei danni subiti. Big Life è finalizzata a supportare questa convivenza, assieme al soccorso degli animali feriti e a un programma di educazione delle popolazioni locali nel rispetto dell’ambiente, che sta anche contribuendo nel dare lavoro a molti di loro. Ed è importante che fin da bambini colgano l’importanza nel proteggere l’unicità della natura dove vivono: solo là esistono quegli elefanti e loro devono essere i loro custodi.
M. Lanza: Tra i progetti, c’è anche un orfanatrofio per gli elefantini.
T. Gerlach: “Sì, in Kenya, è la Fondazione Sheldrick Wild LifeTrust, dove noi spediamo il 15% della vendita di mini-bottiglie, che accoglie tutti i cuccioli di elefante orfani a causa del bracconaggio, soccorsi sia in Kenya, che in Tanzania, con una succursale speciale appena fuori Nairobi, per gli esemplari appena nati. Per recuperarli, si mandano degli aeroplani e una volta all’orfanatrofio, per ogni elefantino c’è una persona che se ne occupa, nutrendolo con una speciale formula di latte e dormendo con lui, fino a quando non cresce abbastanza per sopravvivere in autonomia. Dopo di che, si cerca il branco d’appartenenza e si procede con l’avvicinamento, togliendo progressivamente la presenza umana fino a quando è pronto per vivere allo stato selvaggio. Il momento del rilascio definitivo è meraviglioso e ogni volta che riesco ad assisterlo, sono soverchiata dalle emozioni”.
M. Lanza: Tra questi, c’è un elefante speciale per te?
T. Gerlach: Cuccioli orfani a parte, noi proteggiamo soprattutto esemplari liberi, allo stato brado, ed è difficile entrare in un contatto molto stretto con loro o fare foto.
Una volta però, in Kenya, abbiamo avuto la possibilità di dare il nome a un elefante: lo abbiamo chiamato Spirit, un animale magnifico, con delle zanne enormi, almeno 80 kg ciascuna. Da allora, ogni volta che vado in Kenya, lui arriva a farsi vedere: c’è una forte connessione tra noi. Ho tantissime foto sue, ma è una situazione davvero rara. Ogni volta che lo vedo scoppio di felicità e devo dire che è in grado di “mettermi sotto pressione”.
Nel frattempo, stiamo cercando altri progetti come questo in Botswana e in altre zone a rischio. Noi supportiamo i progetti più urgenti e solo di Fondazioni dove possiamo incontrare personalmente i responsabili e seguire il loro lavoro direttamente. Non diamo soldi alle fondazioni, noi finanziamo progetti. Progetti devono avere un obiettivo, un metodo, un inizio e una fine. Non lasciamo finire nulla nel buco nero della burocrazia istituzionale.
M. Lanza: La chiarezza e la devozione alla missione lo si vede anche nelle bottiglie. C’è un lavoro meticoloso e la presenza umana, artigianale, in ogni pezzo. Nel sito spiegate che c’è la natura richiamata nello spago grezzo avvolto a mano attorno al collo della bottiglia o una collana di perline Masai, per ricordare la tutela culturale dei popoli nativi. C’è stata una scelta ecologica nell’utilizzare meno vetro e, rigorosamente, nessuna plastica. E poi, sull’etichetta di ogni bottiglia c’è scritto il nome di un elefante…
T. Gerlach: Ho dedicato tanto tempo nel creare quella bottiglia. Ho lavorato nel sud dell’Africa con un designer francese che ha portato molte idee: inoltre, la forma è ispirata alla fiaschetta da viaggio e se guardi attraverso il vetro, vedi delle bellissime mappe che mostrano episodi d’esplorazione. C’è anche un francobollo triangolare, che evoca l’arrivo diretto dall’Africa.
Il nome dell’elefante è scritto da un calligrafo, ed è quello di un esemplare soccorso e del quale puoi leggere la storia sul sito: lì si può cogliere quanto siano preziosi questi animali. Lo spago da pacchi è una presenza importante nel nostro packaging, è fatto sul posto e richiama le spedizioni dell’epoca con tutti i marchi delle tasse doganali. Oltretutto, inserendo un’importante parte artigianale nel packaging, c’è modo di creare lavoro per la gente del posto, basato sulle loro stesse abilità: c’è chi crea bellissimi gioielli e chi la carta… per questo, sono tutte donne, bravissime.
M. Lanza: Come siete entrati in relazione con i produttori delle botaniche?
T. Gerlach: Abbiamo viaggiato molto e, ogni volta, è stato tramite indicazioni dei nostri collaboratori. Siamo entrati in contatto con consorzi locali e, come sempre, abbiamo preferito avere un rapporto diretto con i coltivatori, per dare un contributo diretto alla zona e controllare personalmente che non si utilizzassero sostanze tossiche nelle coltivazioni. Purtroppo questa è una procedura che va a penalizzare tutta la parte della certificazione ufficiale. Quindi quando ci chiedono se sono prodotti bio, possiamo solo dire “non ci sono certificati, ma controlliamo personalmente i processi agricoli, perché chi ci lavora sia rispettato e perché siano usate solo sostanze salubri e compatibili con l’ecosistema".
M. Lanza: Dopo di che, il tutto arriva in Germania… dove si trova la vostra distilleria.
T. Gerlach: È a Wittenburg, tra Amburgo e Berlino, ed è nel mezzo di un terreno dove coltiviamo le mele che raccogliamo maturate sull’albero, a mano e utilizzate fresche sul posto: sono il secondo più ingrediente più importante del nostro gin.
M. Lanza: Dal sito, si vede il vostro alambicco che è della vecchia tradizione, in rame e ottone, l’avete rilevato da qualche altra struttura o l’avete fatto fabbricare su qualche modello?
T. Gerlach: L'alambicco che utilizziamo l'ha realizzato apposta per noi, Arnoldo Holstein, noto progettatore in questo campo.
Tutta la nostra azienda e tutto il nostro team è dedicato esclusivamente alla produzione dell’Elephant Gin. Siamo perfettamente autonomi, non ci affidiamo ad altri e non produciamo per altri. Per questo abbiamo voluto ampliare il progetto e costruire una realtà solo nostra. La nuova struttura sarà pronta a marzo e la inaugureremo a giugno 2023.
Chi ci visita potrà fare un’esperienza totale, per immergersi a 360° nel mondo di Elephant Gin, ci sarà anche modo di creare la propria bottiglia personalizzata, attaccarci le etichette, metterci lo spago o i decori masai… sarà divertente.
E si aprirà un altro nuovo capitolo di questa avventura.