Immaginate di entrare in un bar la cui atmosfera, ovattata, avvolge e permea ogni cosa. Luci eleganti e discrete quanto basta, “How dark, how pleasing”, diceva E. B. White dell'atmosfera del bar, legni scuri, sedute comode, tutto sembra trasudare storie antiche che si rincorrono nel tempo. Storie sempre nuove quando raccontate. Avvicinatevi al bancone, poggiate la suola della scarpa sinistra sulla barra di ottone poggiapiedi, un tempo vi sareste accesi una sigaretta, accomodatevi con il gomito destro sul banco del bar. Quindi, con un sorriso accennato e rivolto al barman, pronunciate quella frase che in qualsiasi lingua quel bartender comprenderebbe: “Un Martini, grazie”.
Per persone di una certa classe è la frase più bella da pronunciare in certi bar, un felice inno alla vita.
Attenzione, da buon cocktail lover, se presagite che il barman non sia all’altezza di un esigente stile di bere non rischiate il vostro e altrui imbarazzo, chiedete elegantemente un bicchier d’acqua, sempre molto fredda beninteso.
Siete nel bar di un grand hotel, di un caffè storico o di un cocktail bar, spazi di civiltà che hanno una comune costante: la magia del tempo che assume una diversa velocità, più lenta, che vi trasporta nel passato e nel futuro, ai vostri ricordi e alle vostre fantasie. E se c'è un pianoforte, il pianista non suonerà un solo motivo composto negli ultimi sessant'anni, solo e soltanto Gershwin e Berlin, Rodgers e Kern, Arlen e Robin, Noble e Porter. Quello stesso Cole Porter che in una delle sue prime canzoni scrisse: “The fountain of youth is a mixture of gin and vermouth”.
L’atmosfera del bar ha un ruolo determinante nella costruzione dell’esperienza. Suoni e musica hanno sempre avuto un ruolo fondamentale. Sono questi i bar in cui i neverending classic drink (Negroni, Manhattan, Martini, Americano, Stinger) costituiscono un’antologia liquida, bicchieri verso i quali la mano si tende per riconciliare corpo e mente, acquietare le delusioni o celebrare la vita. Dei neverending classic drink non esiste una versione assoluta, la preparazione di questi drink è un percorso profondamente intimo, una materia nella quale si fondono arte e manipolazione.
Il Martini Cocktail, il Manhattan, il Negroni sono elementi imprescindibili dell’immaginario e del quotidiano dei cocktail lover più esigenti. È arduo offrire una spiegazione al contempo chiara, esaustiva e stringata, ma è così. Almeno da quando, come nel caso del Martini, il nome del cocktail e quello del suo bicchiere sono divenuti un tutt’uno, o da quando il Conte Cammillo Negroni chiese un goccio di Gin nell’Americano. In questi bar si sublima il tempo come magia dell’aspettare, il cui ritmo è dettato dal tintinnare del ghiaccio nei bicchieri, dalla maestria con la quale il barman maneggia i suoi attrezzi.
I bar nei quali i neverending classic imperano rimandano a uno stile di vita del quale i drink rinnovano un’immagine che resiste, in alcuni casi, da centinaia di anni. La domanda: quale immagine? La stessa del bar. Un’immagine che appartiene al passato ma è sempre attuale, sempre ottimista, una immagine elegante e mai rozza, civilizzata, spesso è un insieme che esprime un particolare stile di vita del passato, di un passato senza tempo. Come già detto, è una storia antica che si ripete ma è sempre nuova quando viene raccontata.
Possono alcuni drink essere simboli di status sociale? Sì, certo, così come quei bar storici in cui sono nati.
Il Martini è nato nel bar di un hotel e fu subito definito un drink WASP (White, Anglican, Saxon-Protestant)
perché consumato da persone con atteggiamenti elitari e conservatori; il Negroni nato in un famoso caffè fiorentino divenne il drink della buona borghesia cittadina che in quel caffè si ritrovava, il drink dell’intellighenzia nascente e dell’aristocrazia decadente, il drink che coniugava futurismo e conservatorismo. Potenza di santuari del bere miscelato dai quali la fine art of mixing drink si sarebbe poi diffusa a tutti i ceti sociali, uno dei primi esempi di globalizzazione ante litteram. Oggi i bar storici resistono alle mode e alle tendenze che vorrebbero divenire stili, a volte stravaganti.
Ma, come dice Giorgio Armani, “lo stile è eleganza, non stravaganza”.
Ça va sans dir.