Vodka tonic e Tracey Emin

Vodka tonic e Tracey Emin

Di Manuela Porcu

Illustrazione di Georgina Luck

4 minuti

Se chiedessi di alzare la mano a chi non è mai successo di passare almeno qualche giorno a letto a struggersi dopo una delusione d’amore, probabilmente non se ne conterebbe neanche una. E se noi, ad un certo punto, ci siamo alzati da quel letto insieme alle nostre occhiaie e ci siamo ricomposti per riprendere con la solita routine, c’è invece qualcuno che di quei giorni a base di intere bottiglie di “vodka e pollo fritto” ne ha fatto un’opera d’arte

È con My Bed che iniziamo questo racconto su Tracey Emin, una delle artiste più interessanti e dibattute degli ultimi 30 anni.  

Dai tempi della Fontana di Marcel Duchamp, il famoso orinatoio diventato opera d’arte, l’arte continua a mostrarci come le cose più inaspettate e vicine alla nostra più intima quotidianità possano diventare arte abituandoci al fatto che non per forza debba essere bella o piacevole, e My Bed è tutto questo: un ritratto di un’artista e di un momento particolare della sua vita, un ready-made ruvido e realistico che ha la capacità di coinvolgere e sconvolgere ancora oggi, a distanza di 30 anni, ogni volta che viene esposto nelle sale di un museo (lo trovate in mostra al Munch Museet di Oslo fino al 2 gennaio).

Era il 1998 quando, per la fine di una relazione, Tracey Emin si rifugiò per giorni e giorni a letto senza mai alzarsi, solo in compagnia delle sue bottiglie di vodka. Tornando nella sua stanza dopo essersi trascinata fuori dal letto per bere finalmente un po’ di acqua dal rubinetto, quel disastro che aveva davanti agli occhi le sembrò improvvisamente bellissimo. Le sembrava di vederlo in un white cube, nello spazio bianco di una galleria, in un altro contesto, lontano nello spazio e nel tempo da quei giorni. L’arte la stava forse salvando dal baratro e le stava aprendo una nuova prospettiva.

My Bed, il letto sfatto dell’artista, sporco e con tutti gli oggetti che si erano accumulati in quei giorni, viene presentato al Turner Prize ed esposto alla Tate Modern tra i finalisti del prestigioso premio scandalizzando il pubblico, ma anche gli addetti ai lavori; l’opera è diventata così famosa da far dimenticare che, in realtà, il premio non fu nemmeno vinto dalla Emin. A premiare il lavoro dell’artista però ci pensarono i collezionisti: l’opera venne acquistata l’anno successivo per 150 mila sterline da Charles Saatchi, che la espose anche nella cucina di una delle sue residenze fino al 2014, anno in cui l’installazione viene messa all’asta e aggiudicata per 2 milioni e mezzo di sterline.

E se, come dice oggi una cinquattottenne Tracey Emin, My Bed è “il ritratto di una giovane donna di 35 anni”, ci viene facile intuire che la vita dell’artista negli anni ‘90 fosse piuttosto movimentata. Queste opere hanno raccontato nei minimi dettagli la sua vita al pubblico, in un momento in cui anche la stampa non perdeva occasione di parlare della sua vita privata, dai drink – anche di quelli di troppo – ai numerosi party a cui l’artista partecipava. 
Tracey Emin non ha mai avuto però paura di esporsi, riversare il suo vissuto nell’arte è stato l’unico modo che l’artista ha avuto per rielaborarlo ed esorcizzarlo.

“I love art and art loves me more than any man has ever loved me. Art has never let me down. When I’ve been my lowest of my low, art has always come and picked me up.” disse la Emin sorseggiando un vodka tonic, in un’intervista rilasciata al New Yorker.

La Emin in posa davanti all'opera che l'ha lanciata.
La Emin in posa davanti all'opera che l'ha lanciata.

Per conoscere meglio Tracey Emin, mettersi comodi con un vodka tonic tra le mani sarebbe consigliato: le sue opere sono viscerali e profondamente legate al suo vissuto. A volte infastidiscono per quanto rivelano, a volte commuovono per quanto sono poetiche. 

Tracey Emin CV è un’opera che, nelle nove pagine A4 scritte a mano dall’artista con inchiostro turchese, riassume proprio gli eventi significativi della sua vita sotto forma di CV in cui le esperienze professionali si mischiano a quelle personali, dal momento della nascita nel 1963 a Croydon, alla sua vita a Margate, una cittadina sul mare a circa due ore di distanza da Londra.
La sua è una storia un po’ travagliata, con quella che oggi definiremmo un’infanzia disfunzionale segnata da povertà e traumi che la spingono a lasciare la scuola a 13 anni. A 24 anni si trasferisce a Londra e frequenta il Royal College of Art e inizia la sua carriera nel mondo dell’arte.

Molte delle sue opere degli inizi sono andate distrutte, o dall’artista stessa o dall’incendio del 2004 che devastò i magazzini in cui Charles Saatchi conservava alcuni pezzi, ma sono passate comunque alla storia; come Everyone I Have Ever Slept With 1963–1995, una tenda che riportava i nomi di tutte le persone con cui Tracey Emin aveva dormito in quel lasso di tempo. Così come ha fatto la storia anche The Shop, un ex studio medico riconvertito a negozio-installazione nell’East End di Londra aperto da Tracey Emin insieme a Sarah Lucas – altro nome noto per gli appassionati d’arte. Lì le due artiste vendevano i pezzi più strani: t-shirt, gadget, posaceneri… un esperimento talmente singolare da attirare pian piano l’attenzione di critici e curatori. 

From Army to Armani è una foto di quel periodo firmata da entrambe le artiste che le immortala mentre brindano – pare con un mix di porto e limonata che andava di moda in quelle zone di Londra - all’apertura dello shop, che rimase aperto solo per sei mesi. 

Dagli anni ‘90 ad oggi Tracey Emin ha sperimentato diverse tecniche, dal readymade alla fotografia, dal ricamo al disegno, alla scultura, al neon. Così come viene spontaneo relazionarsi al senso di disperazione di My Bed, così le frasi riportate nelle sue installazioni al neon mettono di fronte a stati d’animo che abbiamo certamente vissuto: You forgot to kiss my soulI Listen to the Ocean and All I Hear is You (acquistato dal rapper P. Diddy), You loved me like a distance starI loved you more that I can love

Queste frasi universali scritte a mano dall’artista e realizzate al neon hanno fatto il giro del mondo: da I want my time with you alla stazione St.Pancras International di Londra – che è anche l’installazione più lunga mai realizzata dall’artista – alle proiezioni di I Promise to Love You sulla facciata del Cosmopolitan di Las Vegas e sugli schermi di Time Square a New York, al progetto per il padiglione della Gran Bretagna alla Biennale di Venezia di qualche anno fa. 

È con She lay down deep beneath the sea – neon concepito proprio per una sua mostra personale di qualche anno fa al museo Turner Contemporary - che torniamo a Margate, la cittadina in riva al mare che ha segnato l’esistenza dell’artista, nel bene e nel male, e in cui anche Tracey Emin è tornata a vivere. 
I Never Stopped Loving You sono le parole che l’artista ha dedicato a quella che ha sempre continuato a considerare come la sua casa, scolpite in un neon rosa affisso sulla facciata della Droit House, un edificio che si affaccia sul lungomare. 

Con qualche drink e qualche festa in meno – adesso preferisce il vino bianco, dice l’artista -, Tracey Emin ha esorcizzato grazie all’arte il suo vissuto a Margate; è qui che ha rimesso radici e ha trovato sede per un grande studio di quasi 3000 metri quadri che diventerà, un giorno, il suo museo.

L’arte le ha davvero cambiato la vita.

Manuela Porcu

Manuela Porcu

Da più di dieci anni è impegnata a fare amare l’arte anche a tutti quelli che la circondano. Ha diretto una fiera d’arte dedicata a chi muove i primi passi nel mondo dell’arte, si diverte a scoprire nuovi artisti e beve Bloody Mary.

Georgina Luck

Appassionata di gin, cibo e… insetti! Realizza illustrazioni a inchiostro piene di colori e disinibite al punto giusto.