Solitamente il mondo del bar non è molto interessato agli aspetti tecnici e produttivi di acquaviti e distillati, preferendo di gran lunga la storia, magari ricca di aneddoti, con cui intrattenere un cliente curioso.
Ma nel 2019, dopo ben 11 anni, sono stati rivisti e pubblicati i nuovi disciplinari europei ed extra europei, mentre nel 2020 ne sono usciti due nuovi di zecca.
Questi ultimi impatteranno non poco sul futuro prossimo degli scaffali dei bar, poiché riguardano il mondo del whisky che, senza dubbio, sta scalando nuovamente le classifiche delle preferenze (se mai le avesse abbandonate) dei consumatori.
Vediamo di scoprire quali sono gli aspetti più interessanti, curiosi e quali sono le novità.
Iniziamo dalle novità.
È nato il disciplinare del Bourbon del Missouri, che si aggiunge a Kentucky e Tennessee.
Una scelta quasi obbligata, dato che la maggioranza del mais per la produzione di quest’ultimi due arrivava da questo stato, così come le querce bianche per fabbricare le botti.
Qui operano già 35 distillerie, in crescita numerica ogni anno, che dovranno usare esclusivamente mais e legno del Missouri per produrre il bourbon omonimo.
Non ci sono sostanziali novità circa il grado massimo di distillazione, (80 gradi) e gli anni di invecchiamento (2), quindi si andrà nel solco della tradizione, fermo restando che qualche università pare che stia testando alcuni biotipi di mais nuovi per creare un’identità di territorio.
Un concetto completamente nuovo, infatti per i vecchi distillatori la “storia” del bourbon iniziava con il riempimento delle botti con il white dog.
Prima di lasciare l’America dobbiamo necessariamente parlare della nuova tendenza dell’American Single Malt, ovvero l’interpretazione a stelle strisce del whisky scozzese. Anche qui si parla di un prossimo disciplinare per regolamentare produzione e distillerie visto il continuo incremento di attori impegnati nella sua distillazione.
Per il whisky la seconda novità ufficiale è legata alla nascita del disciplinare giapponese.
Una necessità, visto il successo del prodotto sui mercati mondiali, dove alcune bottiglie di malti invecchiati stanno strappando quotazioni molto vicine ai cugini scozzesi.
Anche in questo caso non ci sono novità circa il metodo produttivo che ricalca le regole europee, con un grado massimo dell’acquavite inferiore ai 95 gradi e 3 anni di invecchiamento in botti di capienza inferiore ai 700 litri.
Quello che cambia è che per produrre il whisky giapponese si dovranno utilizzare solamente acqua e cereali giapponesi, lavorati in loco. Non si potranno quindi acquistare malti dalla Scozia o acquaviti per procedere ai blend. Vista la ridotta superficie agricola giapponese e la penuria di whisky invecchiato è facile pensare che quella del Japan Whisky diventerà una costosa nicchia, quanto meno nel breve periodo.
Passiamo alla Francia dove la nascita del disciplinare del whisky di Alsazia e Bretagna di qualche anno fa è passata quasi inosservata.
Il paese transalpino è infatti il maggior consumatore ed importatore di whisky in Europa ed ha giustamente cercato di dirottare una parte dei consumi su prodotti locali. Il testo contiene alcune interessanti novità come il grado massimo di 80, il medesimo di quello americano, mentre in Europa siamo a 94,8. Si stabilisce anche la capienza degli alambicchi (unici in Europa a farlo) fissata in 3.000 litri, per riprendere la tradizione del cognac. Nessuna novità invece per l’invecchiamento fissato sempre in 3 anni. Dopo l’iniziale proposta di malti giovani, fra qualche anno dovremmo assistere al lancio delle prime riserve e scopriremo se anche su questo campo saranno in grado di creare un nuovo standard dando un nuovo corso al whisky, come fu per la vodka premium.
Parlando di quest’ultima non può passare inosservata la possibilità che il nuovo disciplinare offre di edulcorare la vodka. Una pratica vietata nel 2008 ma molto spesso richiesta dai produttori: oggi è possibile farlo con 8 grammi di zucchero. Un impatto decisamente minimo ma che aiuta ad ammorbidire leggermente il sorso.
8 grammi sono infatti una quantità di molto inferiore di quella offerta alle acquaviti europee, come la grappa, che possono raggiungere anche i 20 grammi, ad esclusione del calvados che scende a 15.
Sempre parlando di zucchero va menzionata la deroga offerta al brandy spagnolo che può raggiungere i 35 poiché con l’invecchiamento in barili che hanno contenuto vini dolci era molto difficile rimanere dentro la soglia europea.
E a proposito di curiosità, leggendo il disciplinare del tequila ci accorgiamo che è l’unico a non indicare il grado massimo di distillazione. Tutte le bevande spiritose lo legiferano andando dal più alto, la vodka con i suoi 96,4 al più basso, i 48 del pisco, passando dai 72,4 di cognac ed armagnac.
A questo punto il distillato di agave potrebbe essere lavorato in un raggio di azione che non ha pari in Europa, dando ampia discrezione ai produttori, tanto che qualche maligno ha iniziato a parlare di “vodquila”.
Chiudiamo l’articolo con un’ultima “provocazione” legata ad una inusuale materia prima che ha alcune assonanze con la precedente. Tutti noi sappiamo che le acquaviti si possono produrre con vino, frutta e cereali, ma nei disciplinari europei esiste anche la possibilità di fermentare e distillare il topinambur, altrimenti conosciuto come Carciofo di Gerusalemme.
La sua polpa è ricca di enulina, il medesimo polisaccaride che si trova nell’agave. Anche in questo caso è necessario un processo termico per trasformarla in fruttosio mentre la distillazione si può condurre fino agli 86 gradi.
Vista la presenza massiccia di questo tubero, molto poco usato, se non a livello locale per qualche preparazione di cucina, soprattutto in Piemonte, dove trova posto nella bagna cauda o nei risotti, non sarebbe il caso di pensare, vista la fame di novità del mercato, ad una nuova frontiera della distillazione italiana?