Breve storia dell'amaro

Breve storia dell'amaro

Di Fulvio Piccinino

Illustrazione di Beppe Conti

Gli amari stanno vivendo nuovamente un periodo d’oro, che porta alla memoria gli anni del primo dopoguerra, quando si radicarono profondamente nel tessuto sociale, diventando uno dei prodotti insostituibili in casa e al bar.
Oggi, con un mercato più evoluto, cresciuto nel mantra del bere responsabile e consapevole, la riscoperta assume toni diversi. 

Oltre al mondo della mixology, che ne ha riaffermato il ruolo primario nella miscelazione, anche gli appassionati sono tornati a richiederlo come piacevole dopo pasto tradizionale.

Nessun’altra categoria rappresenta a pieno titolo la scuola liquoristica italiana e la sua grande tradizione legata alla produzione dei primi amari ed elisir commerciali, di cui troviamo testimonianze sui testi di fine Ottocento.

Infatti l’altro caposaldo, il vermouth, nonostante un’iniziale connotazione nazionale legata ai vini all’assenzio dell’antica Roma, finisce poi per essere identificato con la sola città di Torino ed il Piemonte in genere, nonostante vi siano state anche ottime realizzazioni altre regioni italiane come Sicilia e Toscana.

E sempre a differenza del vermouth, le cui ricette vantano spesso nobili origini ed evocano mondi lontanissimi, gli amari provengono dalla saggezza e dalle tradizioni familiari e vengono realizzati con eccellenze erboristiche del luogo.

Altre volte la loro origine è ben più antica, nati dalla trasformazione degli antichi rimedi medici, gli elisir, che divenuti obsoleti per via dell’affermazione della farmacia chimica si reinventarono, grazie all’arrivo dello zucchero, come piccole medicine degli uomini sani.

Ed è proprio questo l’aspetto su cui ci soffermeremo in questo articolo poiché spesso l’amaro, per il suo blasone popolare, viene banalizzato e poco studiato.
Invero un nobile tentativo di elevarlo fu fatto ai primi del Novecento quando furono ammessi come fornitori della Real Casa Savoia ben tre amari (Averna, Lucano e Ciociaro), senza però ottenere l’effetto sperato. All’epoca solo il Fernet di Branca ebbe la medesima diffusione e successo a livello mondiale del Vermouth di Torino.

Per meglio comprendere il fenomeno degli amari, ho individuato e catalogato nel mio libro “Amari & Bitter” alcune scuole produttive e una suddivisione nazionale fra scuola alpino-montana e mediterranea.
Sia ben chiaro che queste non sono divisioni nette, poiché quando si parla di prodotti a base d’erbe è quanto mai difficile creare categorie, ma possono essere un interessante metodo di lettura di un comparto quanto mai variegato.

L'amaro: un piacere a cui noi italiani - ma non solo - non sappiamo rinunciare
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Elisir

La parola compare più volte sui testi alchemici di Paracelso, autore del più famoso, il “Proprietatis, da cui deriverebbe quello di Lunga Vita, la cui preparazione sopravvisse fino ai primi del Novecento nelle sue forme edulcorate.
Prima dell’alchimista svizzero è il francescano Giovanni Rupescissa a parlare dell’essenza - dall’arabo el-iksir - delle erbe da estrarre attraverso l’acqua di vita ottenuta distillando ottimo vino.
Ai primi dell’Ottocento la parola elisir viene poi spesso associata ad un singolo principio attivo, solitamente presente nella ricetta nella proporzione di 8:1 rispetto alle altre erbe.
I più famosi saranno gli Elisir Rabarbaro e Elisir China prodotte da decine di aziende, ma divenute iconiche nelle produzioni rispettivamente di Zucca e Martini.

Amari di Abbazia

Come i precedenti possono essere considerati i progenitori degli amari moderni, con la differenza che se gli elisir erano prodotti principalmente dagli alchimisti, laici e religiosi, gli amari di abbazia venivano confezionati proprio all’interno delle mura di questi monasteri. Qui era sempre presente una farmacia per curare i fedeli del luogo e coloro che erano pellegrinaggio nei luoghi sacri e vi lavoravano un gruppo ristretto ed estremamente specializzato di religiosi capitanati dal più anziano in grado di comprendere i testi di medicina tradotti in latino dal greco e dall’arabo.

Inutile ricordare il ruolo fondamentale degli ordini religiosi nella storia della liquoristica, che diedero vita all’interno del Monastero della Chartreuse al più famoso liquore della storia.
I Francescani furono fra i più attivi: oltre al già citato Rupescissa, ricordiamo Bacone, che diffuse la conoscenza della distillazione nel Regno Unito. Infine, è impossibile non citare Benedettini, Cistercensi, Gesuiti e Gesuati. Quest’ultimo ordine talmente specializzato nella produzione di spiriti da essere soprannominato i Frati dell’Acquavite

Questi proto-amari si possono suddividere in prodotti mono-erba, o con un numero ridotto di esse con azione mirata, ed i rimedi universali composti da diverse decine di piante aromatiche - 70/80 ed oltre - in grado di curare ogni tipo di malanno.
Ovviamente quest’ultimi erano prodotti che mancavano completamente di una conoscenza dell’erboristeria poiché spesso i principi curativi si annullano tra di loro ed è impossibile creare un toccasana per curare ogni cosa.   

Scuola Nord Europea

Dal Seicento in poi, con la nascita della Compagnia delle Indie, la più importante quella olandese, il baricentro della liquoristica si sposta nel Nord Europa
Con la scoperta dell’America e delle nuove rotte commerciali, il ruolo del Mediterraneo e quindi dell’Italia si affievolisce. Se la culla della liquoristica fu Salerno con la sua Università fondata intorno all’anno Mille, dopo il Rinascimento anche Venezia e la Via della Seta perdono di importanza. 
Il colonialismo inglese ed olandese, e la conseguente disponibilità di spezie ed erbe esotiche a prezzi ben più vantaggiosi di quelli possibili con i commerci, rendono le prime fabbriche di liquori di queste latitudini ben più convenienti.
Non a caso le più antiche, ancora oggi in attività, si trovano in Olanda ed è sufficiente leggere la data di fondazione per rendersene conto. Qui vengono elaborati Bitter, gli amari di questa scuola.
Il Magenbitter, l’amaro digestivo, il Boonekamp, dal nome del suo inventore sono i più famosi, ma sono decine le ricette con nomi di città olandesi, tedesche e scandinave.
Uno di questi prenderà la strada dell’Italia, e sarà proposto nel 1881 dall’intraprendente barman liquorista Campari.

Il Bitter all’uso di Hollandia, uno dei prodotti presentati all’Expo di Milano di quell’anno diventerà poi un’icona dell’aperitivo nella sua rossa veste.
Sempre da questa scuola arriva il Fernet, da una ricetta di un medico svedese che collaborò con Branca allo sviluppo di questo importante rimedio durante l’epidemia di colera che colpì Milano a metà dell’Ottocento.

Scuola Alpino Montana e Mediterranea

Questa suddivisione è ben più recente e riguarda il mercato moderno.
Assaggiando e comparando le ricette dei più famosi amari italiani è possibile definire queste due grandi scuole o stili.
I prodotti della Scuola Alpina sono solitamente più amari, balsamici ed alcolici, questo perché la cucina del Nord Italia e dell’Appennino in genere risulta più strutturata e ricca di grassi animali soprattutto in inverno per via del freddo.
Pertanto è naturale avere una gradazione superiore, in grado di pulire meglio la bocca dalla grassezza e principi amari più presenti.
Possiamo individuare nella genziana, presente dal Piemonte al Veneto, fino all’Abruzzo come uno dei principali elementi di questa scuola, seguito dalle note balsamiche della menta, che però si ritrova, con biotipi diversi, la mentuccia o nepitella, anche nella tradizione romana e sicula. Segue l’assenzio sempre protagonista a queste latitudini, nei suoi vari biotipi, dal Mutellina al Gentile. Chiude il nocino che viene proposto dall’Appennino Ligure ed Emiliano, vero luogo di elezione del liquore, fino alla Campania con l’eccellenza del Nucillo.

Gli amari della Scuola Mediterranea invece nascono influenzati da una cucina ricca di grassi vegetali, verdura e legumi e pesce. La carne di maiale e di salumi in genere, con l’eccezione della tradizione calabrese, non è molto consumata. I dolci sono a base di ricotta e miele, ed il clima è decisamente più caldo, anche in inverno.
Non è pertanto necessario avere gradazioni importanti, e il profilo aromatico è dominato dagli agrumi che spesso risultano essere con l’uso dell’albedo - la parte bianca della buccia - il solo elemento amaricante. Il profilo viene completato dalla macchia mediterranea, dall’eucalipto e anche dalle foglie di ulivo, con una percentuale di zucchero ben più elevata rispetto al cugino nordico.

Non ci resta che prendere in mano un bicchiere ed assaggiare la new age dell’amaro italiano che ha visto la nascita di decine di amari ed il recupero di molte ricette dimenticate, grazie all’entusiasmo delle nuove generazioni.

Dopo il Vermouth, un altro grande caposaldo della scuola italiana è tornato!

Fulvio Piccinino

Fulvio Piccinino

Fulvio Piccinino, torinese, classe 1967, barman, docente, scrittore di liquoristica italiana, appassionato di carta vecchia.

Beppe Conti

Nato ad Asti nel 1989, è Graphic-Designer e illustratore. Negli anni si è appassionato alla tecnica del collage digitale, sviluppando uno stile immediatamente riconoscibile.