Cocktail, lenticchie e cotechino al Circolino

Cocktail, lenticchie e cotechino al Circolino

Di Cristina Viggè

Illustrazione di Federica Zancato

4 minuti

Si dice portino fortuna, benessere e prosperità. Perché simili a piccole e tintinnanti monete. Lens, lentis per il singolare latino. Lenticchie per il plurale italiano. Quelle che Giacobbe cucinò e che Esaù mangiò, come si narra nel libro della Genesi.
Quelle che - con buona pace della sorte - è sempre meglio assaporare nella scintillante notte di San Silvestro. Preferibilmente accompagnate dalla succulenta opulenza di zampone o cotechino. Una portata che si usa preparare a casa, al ristorante, nei bistrot e persino nei locali dove si balla. Un piatto iconico, immancabile, intramontabile. Un must. Un cult. Anche per Il Circolino, l’insegna che da qualche mese batte nel cuore di Monza. Un Club del Gusto esclusivo dallo spirito inclusivo. In cui la cucina del giovane chef Lorenzo Sacchi dialoga con la mixology griffata Filippo Sisti

Il Lambro e le ramblas

È l’ultima pietanza che arriva al desco. E pure quella che apre le danze del 2023. Una portata traghettatrice, un delizioso Caronte, un ponte fra passato e futuro, memoria e contemporaneità, quel che è stato e quel che verrà. 
«Le lenticchie le preparo alla maniera classica, facendole stufare in pentola lentamente, ma aggiungendo il mio twist personale. Complici un bel soffritto di verdure, un pizzico di paprika, una spruzzata di pomodoro per dare un po’ di colore, brodo e pezzetti di jamón ibérico per insaporire», spiega Lorenzo Sacchi, il resident chef del Circolino di Monza. «Lenticchie che serviamo dopo la mezzanotte, accompagnandole col cotechino. E, dal momento che crediamo nella massima qualità, prendiamo quello di Marco d’Oggiono, azienda del lecchese. Completiamo la portata con uno zabaione salato, a base di tuorli, sale e vino bianco. Il tutto messo nel sifone, così da risultare soffice ed etereo. Per un tocco di cremosità», prosegue lo chef. Raccontando una leccornia glocal, capace di miscelare tradizione, territorio e contaminazione.
La filosofia del Circolino, concentrata in un piatto beneaugurantebrianzolo e spagnoleggiante.

E anche tutto il menu di Capodanno parte dalla Brianza per oltrepassare con classe Alpi e Pirenei. «Per il menu dell’ultima notte dell’anno ho voluto essere coerente con la mia idea di cucina. Lasciandomi ispirare da tutte quelle pietanze che sia in Italia sia in Spagna sono considerate preziose e festose. Inclusi alcuni cibi che compaiono sulla tavola esclusivamente in questo periodo, vedi i litchi e i kumquat», prosegue il giovane Sacchi. 

Accendendo i riflettori su ostriche, verze e salsa cassoeula; capasanta, cavolfiore e caviale oscietra; carciofi e berberechos (molluschi, simili alle vongole, provenienti dalla Galizia); ravioli di anatra, foie gras, astice e lemongrass; branzino, granchio, alghe e bouillabaisse. «Che somiglia alla sopa de pescato iberica», precisa il cuoco. Elargendo, prima di lenticchie e cotechino, pure capriolo, polenta e tartufo; uva, mandorle e Champagne; e torrija con mandarino e zabaione. «La torrija è un dolce spagnolo che evoca il french toast. In genere si usa il pan brioche, ma in questo caso utilizzo il panettone, passandolo prima in latte, panna e zucchero, per poi friggerlo nel burro chiarificato».

Switcha Lorenzo: dalla Corona Ferrea alla Sagrada Família, dalla Villa Reale al Parc Güell, dall’Autodromo a Gaudí. Perché lui, millesimo 1988, radici a Monza, una vita a Villasanta e un diploma all’alberghiero in tasca, ha lavorato al ristorante Oria by Martín Berasategui, all’interno del Monument Hotel di Barcellona. Dove ha pure conosciuto il madrileno Juan José Sanz, suo coetaneo e oggi suo sous-chef; e pure Maria Sainz, la gran señora della sala. Passata dalle ramblas al Lambro, fiume lungo il quale si distende Il Circolino. Locale uno e trino, pronto a inanellare una zona caffè-bistrot, un’area dedicata ai cocktail, un garden lounge (con tanto di tiglio, orto aromatico e tavolo conviviale in legno naturale) e un ristorante. Il Circolino by Sadler. Certo, quel Claudio Sadler che qui sta alla supervisione culinaria, ma che a Milano guida l’insegna stellata che porta il suo cognome, nonché la trattoria moderna Chick’n Quick. Sempre vicino all’acqua, ma quella del Naviglio Pavese. 

«Tutto è nato da una chiacchierata con alcuni amici. E chiedendoci perché nessuno avesse mai pensato di aprire un posto così a Monza, ci abbiamo pensato noi», svela Stefano Colombo, uno dei volti del progetto. Insieme al padre Mario (capitano della Colmar, specializzata in abbigliamento sportivo) e a Federico Grasso. Un progetto visionario, che ha saputo coinvolgere anche lo chef Sadler, il general manager Alberto Odetti (direttamente da Balthazar di St. Moritz) e il mixologist Filippo Sisti, alla regia di un banco bar in perfetto stile anni Settanta, avvolto com’è da un pannello ondulato in laminato bordeaux, sul quale poggia un parallelepipedo a effetto marmo noir.
Alle spalle? Bottiglie, riposte su una scaffalatura elegante e minimale, in ottone lucido. Mentre intorno lo spazio è animato da pavimenti in graniglia e carte da parati dalla bohémienne attitude, sgabelli e divani, velluti e damaschi, tavoli e tavolini studiati per pranzare, cenare o giocare a scacchi e backgammon. Proprio come si usava fare nei circoli culturali di inizio Novecento.

Rum, cachi e agrumi   

«A San Silvestro servo lenticchie e cotechino sia al ristorante sia al bistrot. La ricetta è la stessa. Anche se nella zona bistrot loro arrivano alla fine di un menu più easy e smart, che contempla una serie di tapas da condividere», puntualizza Lorenzo. Traduzione: croquetas di gamberi e kimchi; insalata russa con ventresca di tonno e peperoncino basco; culatellopan y tomate; ostrica con vinaigrette di kumquat piccante; bikini toast con jamón ibérico, mozzarella e tartufo; e carciofo fritto, maionese all’aglio nero e grana padano. A cui fanno seguito tre singole portate. «Una tartare di presa iberica, la parte alta della schiena del suino, che faccio marinare in sale, zucchero e paprika. Per poi condirla con tuorlo affumicato, missoltino ed erba cipollina. Un risotto con gambero rosso, zenzero e finocchio. E una guancetta di maiale che cuocio con aceto di Jerez e che unisco a chutney di mela e patate al tartufo». E se per dessert giunge la torta Opéra (stratificazione di cioccolato e caffè) con gelato al pepe di Sichuan, dopo lo scoccare della midnight la scena è tutta per il tandem legume-cotechino. Ideale con lo Champagne. Ma pure con un cocktail. Tanto il bancone è a portata di mano. E se si dovesse cenare al ristorante? Il drink verrebbe servito à la table.

«Premessa. In un ipotetico pairing con il cibo, il cocktail deve sempre pulire e resettare il palato. Per prepararlo al boccone successivo. Che deve somigliare al primo. Inoltre, bisogna immaginare la combo piatto-drink come un’auto. Che per andare deve avere quattro ruote. Ecco, il piatto incarna tre gomme, la quarta è rappresentata dal drink. Il suo compito è mettere tutto in equilibrio, preferibilmente non replicando un ingrediente già presente nella pietanza», puntualizza Filippo Sisti. Classe 1983, vogherese cresciuto a Stradella, valigia in mano, testa sulle spalle e piedi ben fermi dietro il bancone. «In abbinamento con cotechino e lenticchie ho pensato a un cocktail in grado di sgrassare e alleggerire il matrimonio fra legume e maiale. Dando la priorità ai frutti invernali», continua il bartender. Che dà forma all’Orange Smash, dal tono aranciato, perfetto a tarda sera e dopo un lauto pasto. Perché digestivo, dissetante, rinfrescante e un po’ frizzante. Complici l’acidità del succo di limone, le agrumate bollicine di una birra chiara al pompelmo, nonché la dolcezza di una confettura acida di cachi (lavorata con aceti e semi di baobab) e del rum El Dorado 12 YO, nato in Guyana dalla Demerara Distillers. Un prodotto pieno e complesso, risultato di un blend di rum distillati nei coffey still in legno (un tempo delle distillerie Enmore), nel single pot still in legno (delle distillerie Versailles) e di altri rum maturati nella collection di botti (ex bourbon) della maison. Che ha avuto l’accortezza e la lungimiranza di salvare e recuperare gli alambicchi di locali aziende dismesse.

To do per il 2023? Assaggiare anche il signature del Circolino: Il Meneghino. Un drink profondamente giallo, che elegge nel tumbler basso Bitter Rouge bianco, vermouth white Riserva Carlo Alberto, cordiale di arancia, spezie e zafferano, nonché un “prosecco” homemade. Realizzato partendo da un vino Chardonnay, messo nel sifone insieme allo zenzero pestato. A chiosa, sul cucchiaino, un sorbetto al Campari. Da mangiare o da sciogliere nel bicchiere.    

Orange Smash

Ingredienti per un drink
50 ml di rum El Dorado 12 YO
30 ml di succo di limone
3 cucchiai di confettura acida di cachi
radler al pompelmo
ghiaccio

Preparazione
Tecnica: shake & build
Bicchiere: highball
Garnish: pezzetto di radice di quassia

Procedimento
Mettere il rum, il succo di limone e la confettura acida di cachi in uno shaker. Shakerare vigorosamente e versare il tutto in un highball con ghiaccio. Colmare con la radler al pompelmo. Sul bordo del bicchiere posizionare un pezzetto di corteccia di quassia - dalle proprietà digestive - e bruciarlo leggermente. Per creare un po’ di fumo ed emanare un piacevole profumo. 

 

* Le foto di questo articolo sono state realizzate da Jacopo Salvi 

Cristina Viggè

Cristina Viggè

Lombarda, millesimo 1970, una laurea in Lettere e una vita da giornalista. Scrivere? È come creare un cocktail. Bisogna bilanciare l'energia degli elementi materici, comunicando la forza dell'immaginario.

Federica Zancato

Illustratrice freelance, curiosa e creativa, amante del cinema e della grafica pubblicitaria d’epoca.