Non sempre i biscotti finiscono nel tè. Anzi, talvolta preferiscono sposare un cocktail. Basta cambiare prospettiva, coinvolgendo un pasticcere volitivo e un barman fuoriclasse e fuori schema. Come Fabio Longhin della Pasticceria Chiara di Olgiate Olona e Nicola Oldrini del gallaratese Dorsoduro.
Prolegomeni ad ogni futuro pairing
Spaghettino freddo con lucerna, mazzancolla, salsa di pistacchio di Bronte e acqua di capperi. Abbinato a uno Spritz. Perché no?
Nel bel volume Venezia da Bere, edito da Il Forchettiere, la giornalista Alessandra Iannello mette in luce, con saggezza e intelligenza, l’attrazione fatale fra l’iconico cocktail della Serenissima e il piatto più emblematico dello chef Lionello Cera, patron dell’illuminata e bistellata Antica Osteria Cera, a Lughetto di Campagna Lupia, nel primo entroterra veneziano. Questione di feeling. E anche di genius loci.
Così come le acquadelle con gioco di salse (carpione, limone salato, salsa ponzu e salsa al nero di seppia) by Donato Ascani del Glam - due astri Michelin scesi su Canal Grande e Palazzo Venart - incontrano un altro drink indigeno quale il Bellini.
Del resto, mixology e cucina si somigliano. E possono andare d’amore e d’accordo. «[…] l’arte di creare cocktail è una scienza complessa, è la trasformazione della “materia prima liquida” in “pietanza” che passa attraverso la bravura nello sposare i prodotti, nel saperli unire e plasmare tramite il contatto con il ghiaccio, che ha lo stesso ruolo della fiamma per il cuoco», scrive la Iannello nell’introduzione a un volume che intende celebrare i primi 1.600 anni della città lagunare. Fiera di aver ospitato la first edition della Venice Cocktail Week, con la regia di Paola Mencarelli.
Per questo abbiamo pensato di iniziare un percorso che ci condurrà alla scoperta di un sempre più solido legame fra pietanze e bere miscelato. Piatti ricercati ed equilibrati, siglati da grandi chef. Ma anche dessert messi a segno da creativi maestri pasticceri. E, visto che il Natale è alle porte, proprio dall’arte dolce vogliamo cominciare. Per sfatare stereotipi e tabù. E per raccontare come un biscotto possa non solo far compagnia al tè, ma dialogare piacevolmente con un drink. Meglio ancora se preparato da un bar manager operativo dietro il bancone di un’insegna che con la pasticceria condivide il provinciale terroir.
Un biscotto libero, etico ed Evolutivo
Il suo mantra? Frolla, frolla, frolla, follemente frolla. Per ripartire dalle basi, spingendo l’acceleratore sul futuro. Per ribadire che la profondità si raggiunge attraverso la semplicità. Sì, per Fabio Longhin, alla guida della Pasticceria Chiara di Olgiate Olona, in provincia di Varese, la frolla è archetipo ed evoluzione, prodotto e visione. «Frolla è libertà d’espressione, è una finestra aperta, è una possibilità di connessione», spiega Fabio. Che ama la colleganza. Anche con il mondo dell’arte e del design. Basti pensare che in pasticceria - aperta da papà Gianni e mamma Chiara nel 1974 - svetta una scultorea opera di street art quale Urbanbrain, by Urbansolid, al secolo Riccardo Cavalleri e Gabriele Castellani. E basti pensare al link professionale col designer varesino Stefano Porcini. Da cui scaturiscono geometriche compilation di frollini, pronti a duettare con la cristallina trasparenza di una fava di cacao distillata e poi spruzzata (come un profumo), nonché una romboidale e tridimensionale tavoletta di cioccolato. Complice l’interazione tra frolla e cioccolato. Fusi insieme. Perché “insieme”, in lingua Maya, significa Tulakalum, il cioccolato utilizzato, originario del Belize e targato Valrhona. Un cioccolato geolocalizzato. Come la farina del crumble celato nella tavoletta: Petra Evolutiva.
Una farina ambasciatrice di agrobiodiversità. Ennesimo esempio di congiunzione: tra sud e nord, Sicilia e Veneto, sapienza rurale e sartoriale expertise molitorio. Una farina biologica, etica, sostenibile e sensibile, protagonista del progetto Adotta un Raccolto, a cui Fabio ha orgogliosamente aderito, divenendo anello e tassello di una filiera che va dal campo alla tavola, dall’associazione Simenza - presieduta dal contadino-custode Giuseppe Li Rosi - ai mugnai Quaglia. Risultato? Una farina millesimata e firmata. Visto che ogni sacco porta impresso il nome della pasticceria (o del panificio o della pizzeria) partecipante all’iniziativa. Nel segno della massima tracciabilità. «Una farina che ho voluto enfatizzare in un Biscotto Evolutivo», dichiara lui.
Un frollino croccante e contemporaneo, pieno e fondente al palato, cui concorrono uova, burro, zucchero e cioccolato extra bitter. Un biscotto dalla foggia allungata, che misura 9x1,5 centimetri. «Del resto, ho un diploma da geometra e lavoro sempre di riga e di squadra», precisa Longhin. Affiancato dal suo braccio destro Fabio Spanò. Che sul biscotto fa piovere polvere di bergamotto. «Proviene dalla buccia essiccata del frutto, siciliano pure lui. Così non vi è scarto. La polpa può essere utilizzata in vario modo. Persino come botanica per il gin. Mentre io vado a recuperarne la scorza», prosegue Fabio. Fiero di una creazione che condensa dolcezza e citrica eleganza. «E sulla cilindrica confezione ho pensato di mettere le coordinate geografiche del “mio” campo, posizionato in contrada Calderone, nell’agro siracusano di Raddusa». Per questo in etichetta si legge: 37°30’ 02.31” N 14°33’ 23.19” E.
Gin si diceva. Certo, il pasticcere ama il gin. Al punto da realizzare una collezione di praline (ai cioccolati fondente, latte e bianco) ripiene di variegati gin (più speziato, più agrumato o più morbido e caldo). Non solo. Per le feste sono in arrivo persino i BabaGin: babà ebbri dell’aromatico distillato.
Spritzando gioia da tutti i fori
«Al Biscotto Evolutivo di Fabio ho pensato di abbinare uno Spritz dallo spirito un po’ speciale e dalle nuance agrumate, affinché ben si accordassero con la polvere di bergamotto».
A parlare è Nicola Oldrini: millesimo 1980, radici varesine, una vita cominciata nel Varesotto, per poi partire alla volta del DAMS di Bologna e tornare, per frequentare il master in food & beverage alla Liuc Business School di Castellanza. «Il fascino del mestiere del barman l’ho scoperto post università. Lavorando qua e là per mantenermi ed essere indipendente. È così che ho compreso il fascino del bancone. Il teatro perfetto per la mia indole un po’ egocentrica. Anche se credo di saper stare in mezzo alla gente», prosegue Nicola. Che, dopo aver guidato un locale a Varese e aver gestito un circolo ad Albizzate, lo scorso giugno ha ingranato la quinta, aprendo - insieme a due soci - un’insegna a Gallarate: Dorsoduro. Ribadendo il suo incondizionato amore per Venezia.
«Non sono veneziano, ma mamma Daniela e papà Romano mi portavano sempre a Venezia. A quattro anni ero già in Biennale e a Palazzo Ducale. Queste cose hanno segnato e costruito la mia identità. Finché i miei genitori, stanchi di soggiornare in albergo, acquistarono una casetta nel sestiere Castello, che è più popolare e meno conosciuto di Dorsoduro, ma che a noi piaceva tanto. Però, al momento di dare un nome all’insegna, ho pensato a Dorsoduro. Perché evoca facilmente la Serenissima, suona bene e ha un significato anche se svincolato dal toponimo. Dorsoduro concentra il senso di gente forte e resiliente, capace di andare avanti con coraggio, nonostante tutto. Del resto, il parto di questo locale è stato complicato, avendo azzeccato con scientifica tempestività il momento più difficile», spiega mister Oldrini.
Un bàcaro a Gallarate. Con corredo di cicchetti-inno alla venezianità. Esposti in vetrina, come usano fare in Laguna. «Abbiamo le sarde in saor, il baccalà mantecato. Ma prepariamo pure qualche stuzzichino più ricercato e contemporaneo. E poi vendiamo una serie di prodotti», precisa Nicola. Orgoglioso della sua cantina. «A Gallarate ci sono più enoteche che farmacie. Perciò abbiamo voluto differenziarci. Puntando su vini naturali e biodinamici e valorizzando i piccoli produttori. Questo non vuol dire che non teniamo le etichette canoniche. Diciamo che prediligiamo le alternative», prosegue lui. Che certo non tradisce i cocktail. Men che meno l’emblematico e serenissimo Spritz: «Ne ho sempre quattro varianti in carta. E ho pure una dozzina di classici, come Negroni, Manhattan e Sazerac, che cambio di tanto in tanto. Perché anche i cocktail seguono il tempo e le stagioni».
Spritz per l’aperitivo. Oppure in combo con un biscotto. Come quello by Longhin. Uno Spritz all’ancienne, marcatamente caratterizzato dalla vis del vino. E non solo per la presenza del Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene docg. Ma pure per la complicità di un triple sec decisamente charmant quale il Dry Curaçao della Maison Ferrand. Che, nello Château de Bonbonnet di Ars, produce aristocratici e raffinati cognac. Nonché questa etichetta dal tono ambrato, dal corpo peno, complesso, armonioso ed equilibrato e dai sentori di zagara. Figlia di una ricetta dell’Ottocento e di tre distillazioni separate, cui concorrono bucce d’arance amare laraha, brandy invecchiato e cognac. «Nel drink ho voluto aggiungere anche un balsamico di aceto di mele, per dare un tocco di dolcezza mista ad acidità».
Intanto Nicola sta dietro il bancone di uno spazio nudo, crudo e materico. «Prima era un negozio di giocattoli e in parte siamo riusciti a mantenerlo così com’era. Fra mattoni a vista, colore verde, elementi dorati, trompe l’œil, specchi e scrostamenti vari. Abbiamo persino evocato l’acqua alta. Segnando, con alcune paretature, i livelli di reali acque alte lagunari. Con tanto di giorno, mese, anno e centimetri. Sì, Dorsoduro è marcio e nobile. Come Venezia».
Spritz all’ancienne - Ingredienti per un drink
45 ml bitter rosso
25 ml triple sec Dry Curaçao Pierre Ferrand
2 dashes balsamico di aceto di mele
top Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene
spruzzata di soda
cubetti di ghiaccio
Preparazione
Tecnica: build
Bicchiere: tumbler alto
Garnish: una fetta d’arancia e una cannuccia bio
Procedimento
Nel tumbler vuoto versare il bitter, il triple sec e il balsamico di aceto di mele.
Aggiungere i cubetti di ghiaccio. Mescolare delicatamente con un barspoon. Chiudere con il Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene e la soda. Mescolare di nuovo per amalgamare bene tutti gli ingredienti. Decorare con una fetta d’arancia e una cannuccia biologica.