«L’alcol lo fa impazzire. Come farebbe impazzire noi se ne bevessimo troppo». Paolo Brunelli, gelatiere superstar non ha dubbi: nella vita servono calma ed equilibrio. Come pazienza, saggezza e buon senso sono necessari per far incontrare spirits e gelato. Due mondi apparentemente opposti che inevitabilmente si attraggono, dando vita a freschissime esperienze di assaggio.
Sì, gelato e alcol non si stanno simpatici. Anzi, si respingono un po’. «Perché l’alcol è un potente anticongelante e ha un effetto destrutturante sulla texture del gelato. Per questo bisogna usare meno zuccheri e, fra gli zuccheri, è preferibile il saccarosio, che influisce meno sulla consistenza del gelato. Inoltre, è necessario fare attenzione al bilanciamento, visto che la percentuale di alcol raggiungibile in un gelato va dal 3 al 4%. Quindi vino e birra, che hanno una gradazione inferiore, possono essere aggiunti in maggior quantità. Mentre rum e whisky, che hanno un tenore alcolico più elevato, vanno messi con più parsimonia». Dispensa dotti consigli Stefano Guizzetti: natali nella bergamasca Lovere; una laurea in Scienze e tecnologie alimentari all’Università degli Studi di Parma (con una tesi sulla chimica del gelato); e da anni alla guida della griffe Ciacco (Tre Coni del Gambero Rosso).
Traduzione: un lab di 300 metri quadrati a Milano (in via Botticelli) e ben due punti vendita: nella meneghina via Spadari e nella parmigiana piazza della Steccata.
Ma quali spirits si possono usare per fare il gelato? «Tutti. L’importante è che il risultato sia appagante dal punto di vista gastronomico. Sempre considerando due fattori: che la diluizione disperde e tende a far perdere il gusto di partenza; e che la degustazione avviene a una temperatura negativa, con annesso effetto anestetizzante. Per questo devo scegliere uno spirito ad hoc: che è tanto più caratterizzante quanto più è aromatizzante. Le bollicine sono poco interessanti, perché lasciano poca impronta. Al contrario sono più incisivi vini passiti e fortificati, come Porto, Sherry, Marsala, Málaga, Madeira. E ovviamente rum e whisky. Meglio ancora se in connessione con latte e uova, creando variazioni sullo zabaione. Perché la parte grassa veicola meglio gli aromi. Invece gin e vodka danno il meglio nei sorbetti alla frutta, così da esaltare la freschezza delle botaniche», prosegue Stefano. Che nelle carapine - nome tecnico per indicare i pozzetti,dove si conserva il gelato artigianale - mette pure qualche “cocktail” come l’Americano, il Mi-To e il Mediterraneo (un twist sul Mojito, col basilico al posto della menta). Perfetti per un aperitivo alternativo.
«In questo caso bisogna cercare di emulare le proporzioni indicate in mixology, ma ricalibrando il tutto. Perché sempre di gelato si tratta».
Ma mister Guizzetti è andato oltre. Creando il primo gelato barricato. «Mi solleticava l’idea di indagare nel gelato la dimensione del tempo. Così ho preso una base lattea e l’ho messa sottovuoto per una settimana a 65°C con pezzetti di barrique in rovere. Ne è uscito un gelato dai sentori fumé, simili a quelli di un rum dal lungo invecchiamento. Anche se di rum non vi era alcuna traccia».
Gelati spiritosi (e poco dolci) da presentare nel tumbler e in coppetta Martini. Oppure? Nello Slowcool, il perfect serve ideato da Paolo Brunelli in combo con il designer (di Jesi) Riccardo Diotallevi.
«Il gelato è tutto e subito. Perché si modifica col passare dei secondi, sciogliendosi. È la sua magia, ma è pure il suo limite. Così, da sommelier quale sono, sognavo un supporto capace di rallentarne lo scioglimento, per avere la possibilità di assaggiare e riassaggiare, come si fa con un vino o un distillato. Mettendo a segno una orizzontale o una verticale a -12°C. Penso a una degustazione di gelati al rum o al whisky dai diversi invecchiamenti». Ecco che nasce un vassoio-contenitore termico, formato da tre coppette, posizionate in pozzetti circondati da una miscela refrigerante di acqua e glicole, pronta a mantenere le basse temperature.
Geniale Brunelli. La cui firma campeggia nel grande quartier generale di Marzocca di Senigallia e nell’iconica boutique in centro a Senigallia (altri Tre Coni del Gambero Rosso). «Ora alla regia c’è mia figlia Vittoria. La nostra è una startaup innovativa, che valorizza l’imprenditoria femminile», precisa Paolo. Che il Negroni gelato lo ha fatto, anche in versione barattolo. Ossia un gelato allo zabaione, realizzato con il vermouth rosso, e cubetti di gelée di gin e di bitter, messi random. «Così a ogni cucchiaio tutto cambia. Un Negroni Sbagliato in ogni senso», commenta lui. Pronto a mettere sul cono pure il Caffè dei Poeti: un gelato al caffè e alchermes, in una sorta di twist sulla Moretta di Fano. «Anche il rum è molto interessante nel gelato, specialmente se amplificato e rafforzato da un supporto aromatico, come infusioni speziate di pepe o vaniglia. Persino con la birra si può fare il gelato. Meglio se una stout, magari unita a caffè, ostrica e gel di whisky torbato. Pure i sorbetti possono essere alcolici, anche perché oggi esistono fibre naturali che assicurano un ottima struttura. Più complicato il discorso granite. In tal caso è bene non versare direttamente lo spirit, ma aggiungere cubetti gelificati, per esempio di rum e lime, a una granita alla mandorla. Ottenendo una sorta di Mai Tai».
Intanto? Paolo sogna di inserire una carta degli spirits in gelateria.
E un Daiquiri che si trasforma in un inedito Mai Tai consiglia di preparare at home Filippo Sisti, esperto mixologist, consulente, nonché Store Development di Dispensa, nel cuore di Torino e a Pallanza, sul Lago Maggiore. «Basta prendere due cucchiaini di zucchero bianco, 3 cl di succo di lime, una tazzina da caffè di rum bianco, shakerare, versare in un tumbler con ghiaccio e aggiungere una pallina di gelato alla nocciola. Che comunque sta benissimo pure se impreziosito da qualche goccia di Mr. Three & Bros Ginger Falernum». Della serie, anche a casa si possono preparare con semplicità (e un pizzico di manualità) gelati spiritosi. «Il gelato al cioccolato, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non sposa benissimo il rum, perché si andrebbero a intensificare solo le note calde. Invece incontra bene tequila o mezcal, così da enfatizzare le nuance affumicate», suggerisce Sisti. Sfatando qualche cliché.
Passando ai sorbetti, le idee non mancano. Anche per uno Spritz mangia e bevi, partendo da una vaschetta di sorbetto all’arancia. «Lo si fa ammorbidire, lasciandolo fuori dal freezer per un quarto d’ora. Si aggiunge un po’ di Bitter Rouge e, con un cucchiaino, si amalgama il tutto, rimettendo la vaschetta in fresco. Nel frattempo, si prepara un classico Spritz, per poi adagiare sul ghiaccio una quenelle di sorbetto, che si scioglierà piano piano», consiglia Filippo. Che suggerisce pure l’upgrade del sorbetto al limone. Ideale dopo il pranzo, per merenda, dopocena. Complici due foglioline di menta, un cucchiaio di Ginnastic Gin agli agrumi calabresi (limoni di Rocca Imperiale e pompelmi rosa della piana di Sibari) e una tazzina di acqua tonica. Non tradendo Bellini e Rossini. Indispensabili: sorbetti alla pesca e alla fragola, un Prosecco o un metodo classico.
«Ma si possono usare sorbetti alla ciliegia, al mango, all’ananas, al passion fruit, alla papaya». Per sorsi (e morsi) solari.