Come tutte le storie, anche la storia della birra si snoda attraverso una sequenza di vicende e figure che si allineano lungo un filo a metà tra cronaca e leggenda, dando vita a una galleria di volti e aneddoti ricchi di colore, umanità, curiosità e non di rado una sana dose di buon umore. Il tutto cavalcando lo scorrere dei millenni dall’antichità più profonda ai giorni nostri.
Secondo gli storici della birra, la sua nascita è stata policentrica. Nel senso che l’uomo si è imbattuto in episodi casuali di fermentazione di cereali non in un solo preciso punto del mondo antico, ma in più luoghi diversi. Ed è probabile che ciò sia successo laddove comunità più o meno estese si fossero organizzate attorno ad attività agricole condotte con una certa sistematicità.
Quali i quadranti geografici indiziati? Quelli contrassegnati dalla presenza di importanti corsi d’acqua: il Gange, il Fiume Giallo, la Mesopotamia con il Tigri e l’Eufrate. Ebbene, proprio a questo territorio rimanda una tra le prima leggende circa l’origine della birra: in particolare alla civiltà dei Sumeri (sviluppatasi tra il IV e il III millennio prima di Cristo). Si narra infatti che un plebeo di Ur, la capitale del regno, abitante in una capanna della periferia con moglie, figli, suocera e cane, abbia visto quest’ultimo sbarellare un bel giorno dopo aver bevuto il liquido rimasto nella ciotola dove un pezzo di pane raffermo si era ammollato sotto un acquazzone. Il protagonista del nostro racconto non sapeva che, probabilmente, complici le alte temperature della zona, i microorganismi copiosamente pullulanti nell’aria devono aver trasformato in alcol i carboidrati di quel pappone; e che il cane, in pratica, si era ubriacato. Ebbene, incurante dell’igiene, sembra che il sumero abbia voluto testare di persona l’effetto di quella brodaglia; e ancora, sbronzatosi lui stesso perdendo qualsiasi freno inibitorio, che abbia vomitato in faccia alla suocera tutto quanto pensava di lei; e infine, soddisfatto, che abbia battezzato la brodaglia come se-bar-bi-sag, cioè la bevanda che fa veder chiaro…
Tornando ai fatti, e al Medio Oriente come uno tra i presumibili luoghi di nascita della birra (tanto che, tra i babilonesi, la sua distribuzione tra i cittadini era stata regolamentata dallo stesso Codice di Hammurabi, nel XVIII secolo a.C.), la sua cultura potrebbe essersi trasmessa da qui prima in Egitto e dalle piramidi all’Egeo greco, finendo per essere conosciuta dai Romani.
Eppure Giulio Cesare, nella sua avanzata in Gallia (condotta tra il 58 e il 50 a.C.), si trova a combattere contro… Asterix e Obelix che, tra uno scontro e l’altro, si rimpinzano di cinghiali e cervogia. Sì, cervogia, ovvero cerevisia, come i latini avevano stabilito di chiamare la birra stessa, dandole l’appellativo di bevanda di Cerere, la dea dei raccolti.
Ma com’è arrivata nel nord della Francia, se proviene dall’attuale sud-est dell’Iraq? Il punto, torniamo a dirlo, è che, probabilmente, non esiste una sua sola area d’origine, ma se ne possono ipotizzare, al contrario, varie e diverse. Così, nel settentrione d’Europa la birra può essere arrivata seguendo le grandi migrazioni di popoli spostatisi in quelle regioni partendo dal ventre dell’Asia. Tra i Celti, il vino d’orzo (altro appellativo coniato dai Romani) viene bevuto con grande trasporto, in libagioni dai contorni mitici e mesciuto in pittoreschi recipienti, alcuni dei quali realizzati cucendo insieme fogli di scorza d’albero.
Anche la birra e i birrai hanno i loro patroni: sì, più d’uno, in realtà: Sant’Arnoldo, San Colombano, Santa Brigida, santa Ildegarda… Eppure, nell’immaginario collettivo, se c’è un nome che viene immediatamente associato alla pinta, ebbene è senza dubbio quello di San Patrizio, la cui figura, nel calendario delle dedicazioni religiose, viene celebrata, lo sappiamo bene, in occasione del 17 marzo.
Ma chi era Patrizio?
Nato nel 387 d.C. in Scozia e morto nel 493 in Irlanda, ha legato la sua iniziativa proprio all’evangelizzazione dell’isola di smeraldo, tanto da assurgerne al ruolo di protettore. Passa quindi ad assumere un analogo rango, di tipo
tutelare, anche in riferimento alla birra, per una via, diciamo indiretta: in virtù del rapporto passionale che unisce la bevanda figlia del grano agli abitanti dell’isola del trifoglio, i quali, consacrano appunto la data del 17 marzo alla consuetudine di tuffarsi in sessioni di solenni e ripetuti brindisi: costume peraltro discretamente diffuso anche in molti altri Paesi del mondo.
Nel corso del Medioevo (convenzionalmente inquadrato tra il V e il XV secolo d.C.), la birra viene consumata in discrete quantità poiché giudicata ragionevolmente affidabile, per la salute personale, grazie all’esecuzione della bollitura del mosto, operazione che elimina i principali rischi di contaminazione. Perciò rappresenta una bevanda di uso comune, ad esempio nei monasteri (per la refezione interna, per dissetare pellegrini e viandanti, per meglio affrontare i periodi di digiuno in virtù del suo apporto calorico). La sua diffusione però interessa non solo l’ambito religioso, ma anche quello laico, fin nella quotidianità della vita domestica.
In questo contesto, le mansioni della preparazione e della conservazione sono affidate di solito alle massaie: tanto che in Germania gli strumenti occorrenti ad assolvere tali pratiche rientrano tra gli accessori del corredo matrimoniale femminile.
In Inghilterra, poi, le abitazioni delle famiglie che si rivelano più abili nel produrre birra finiscono per fungere da punto d’attrazione per vicini e, in generale, per la gente della comunità; luoghi d’aggregazione e di svago, insomma, che nel tempo ricevono la qualifica di case pubbliche; sì, tradotto, public houses: espressione che, abbreviata, diventa pubs. Una vocazione destinata, con il processo di specializzazione delle professioni, a svilupparsi nella forma di una vera e propria attività lavorativa…
A presto per la seconda parte del viaggio nel mondo della birra con Simone Cantoni!