Fotografia 3: la luce artificiale

Fotografia 3: la luce artificiale

Di Vanessa Vettorello

Illustrazione di Giuseppe Liotti

6 minuti

A partire dall’età di otto anni ciò che mi attraeva di più era anche quello di cui avevo più paura: il buio

I diari di Pessoa, la potenza dell’inconscio nei film di Lynch, i bassi distorti dei Joy Division, hanno fatto su di me quello che Jodorowsky dice della vera arte. 

Il fascino dell’oscuro, però, non ha un potere trasformativo solo sulla psiche, ma ha cambiato anche il mondo della miscelazione.
Con l’era del Proibizionismo il consumo di alcool si spostò "underground", nacquero gli speakeasy, locali in cui venivano illegalmente serviti alcolici di contrabbando. Il risultato fu che la qualità si abbassò drasticamente.
Per mitigare i cattivi sapori, si svilupparono particolari tecniche di aromatizzazione e fu un periodo di sperimentazione molto fervido.

Oggi non si scappa più dal Proibizionismo, ma l’attrazione per questi luoghi permane.

In fotografia il concetto di buio è leggermente diverso dalla nostra visione. I nostri occhi si adattano praticamente ad ogni condizione luminosa, solo i passaggi dalla forte luminosità all’oscurità ci complicano la vita, ma in massimo mezz’ora gli occhi si adattano al chiarore più intenso o al buio più nero degli speakeasy. Merito dei coni e dei bastoncelli. 

Seppure la tecnologia stia avanzando molto rapidamente, la macchina fotografica non ha la stessa rapidità e capacità, soprattutto perchè il concetto di buio è molto più vasto. Può anche essere un interno, una zona d’ombra, non solo la notte. 

Credo vi sia capitato almeno una volta nella vita di scattare una fotografia mossa o che il flash partisse anche in situazioni in cui pensavate “beh, però ce n’è di luce!” come ad esempio in un treno, al tavolo di un ristorante al tramonto o anche solo all’interno di un bar. 

I nostri occhi si adattano così bene, tanto da compensare la carenza.

La fotografia ha bisogno di un aiutino, gli automatismi funzionano bene se la quantità di luce è tanta.

Questo non è un limite quando abbiamo un cavalletto solido e un paesaggio notturno (si possono fare esposizioni lunghe anche ore), lo diventa in molti altri casi, se ad esempio abbiamo di fronte un soggetto animato, come una persona o un animale. 

Agli albori della fotografia, i documenti dell’epoca ci mostrano delle persone ritratte in posa plastica, ferme e rigide perché erano necessari lunghissimi tempi di posa (addirittura 8 minuti!). Nel tempo poi vennero usati emulsioni e supporti più adatti, cambiarono le strutture degli obiettivi, delle macchine e piano piano anche la tipologia di immagini. 

Questo per spiegarvi quanto fosse necessario avere una gigantesca quantità di luce per cui si usavano persino strutture di specchi con lo scopo di concentrare i raggi del Sole.

Oggi i nostri problemi fotografici sono molto più facili da risolvere, ma per gestire il buio, necessitiamo di avere anche una buona capacità tecnica. 

Come ho scritto nel primo articolo, questo non è un corso di fotografia, sarebbe impossibile raccogliere in poche righe il bagaglio tecnico di base. Vorrei, però, introdurre il concetto di tempo e di esposizione

“Dare la giusta esposizione” significa garantire che il sensore riceva la giusta quantità di luce. Sembra una frase molto semplice, ma nasconde una moltitudine di variabili. 

Con il cellulare o con una reflex impostata in modo automatico, è l’esposimetro della macchina a decidere per noi qual è la giusta esposizione. In realtà l’esposimetro è semplicemente uno strumento che andrebbe interpretato. 

Mi viene chiesto spesso durante gli shooting dai neofiti: “Ma cambia tanto scattare in automatico o in manuale?”.
La mia risposta è: “Cambia tutto”. Soprattutto perchè manca la consapevolezza delle dinamiche della luce. 

I principali fattori di cui bisogna tenere conto per scegliere la corretta esposizione sono:

- l’illuminazione, cioè l’intensità e la distanza dalla sorgente di luce;

- le caratteristiche del soggetto, come il soggetto riflette la luce cioè i toni, il colore, la superficie, fotografare un gatto nero sullo sfondo di un interno di un magazzino o uno bianco su una distesa di neve, a parità di luce, è molto diverso;

- la sensibilità del nostro sensore, quello che in termini tecnici si chiama ISO (se andate in modalità professionale sul vostro smartphone sicuramente lo troverete tra i parametri) 

- le nostre valutazioni, ovvero le nostre scelte (tornerò a breve su questo punto). 


Ma come possiamo decidere quanta luce fare entrare?

Abbiamo una combinazione di tre fattori: tempi, diaframma ed ISO.

I raggi luminosi fino al momento dello scatto non possono raggiungere il sensore perchè sono fermati da una chiusura mobile: l’otturatore. 

Ciò che definisce i tempi è proprio questo congegno che influisce sulla possibilità di “fissare” il movimento in un’immagine. A tempi lenti equivale un’immagine mossa, a tempi veloci un’immagine ferma. 

Il diaframma è il meccanismo a lamelle che regola la quantità di luce che può entrare, un foro che cambia la sua ampiezza negli obiettivi delle nostre macchine, al pari della nostra iride. All’interno della fotocamera dello smartphone è fisso. Non potendolo regolare, non andrò oltre nella spiegazione.

I valori ISO indicano la quantità di luce che un sensore è in grado di assorbire in un certo tempo: sensibilità più alte indicano che, a parità di tempo, viene assorbita più luce; sensibilità più basse indicano che, a parità di tempo, viene assorbita meno luce. 

Immaginate i tempi, il diaframma e gli ISO come dei rubinetti da cui fare entrare più o meno acqua. L’acqua rappresenta la quantità di luce.

Per passare alla pratica ho realizzato degli scatti da EDIT Torino di alcuni cocktail.
Ne approfittiamo per ringraziare il locale e, in particolare, Samuel Donniacuo per averci ospitato.

Volevo simulare l’atmosfera di uno speakeasy, quindi un luogo molto scuro con delle lampade artificiali molto delicate e non utilizzabili come fonte principale.

Non è detto che un fotografo professionista debba per forza utilizzare sempre luci e flash professionali, in questo caso ho preferito usare qualcosa alla portata di tutti: una torcia

Paolo Verzone mi ha raccontato di usare una maglite come ausilio per alcuni dei suoi ritratti, molto utile come piccola luce di schiarimento. 

Perchè ho usato una torcia e non semplicemente una lampada? Perchè la torcia è una luce spot, dura, con una circonferenza molto piccola che concentra i raggi in un solo cerchietto di luce molto intenso. Questo mi ha aiutato con la quantità di illuminazione, potendo utilizzare tempi abbastanza veloci di scatto e sensibilità basse di iso in modo da non avere troppo rumore. Vi ricordate? Ne avevamo parlato nel mio secondo articolo.

L’esposizione è corretta sulla luce principale dell’immagine, mentre lo sfondo e le ombre risultano “sottoesposte”, quasi completamente nere. Questo mi ha aiutato a raggiungere l’effetto comunicativo cercato, un’atmosfera cupa, e a non avere i bianchi delle luci troppo evidenti, lo sfondo scuro inoltre regala più contrasto all’immagine. 

Con il cellulare possiamo decidere l’esposizione con un facile comando che permette di compensare l’esposizione in misura maggiore o minore. Senza selezionare la modalità pro. 

Ogni cellulare è differente, ma di solito cliccando due volte (la prima per il fuoco), apparirà il simbolo di un Sole o di una lampadina con un cursore.

Possiamo spostarlo in basso per scurire l’immagine e in alto per schiarirla.

In questo caso l’esposimetro del cellulare tendeva a “sovraesporre” l’immagine perchè il contesto era molto scuro (ricordate l’esempio del gatto nero nel magazzino?) e ho corretto i toni globali dell’immagine cercando di esporre correttamente le alte luci. In gergo tecnico si dice “esporre sulle luci”. Se avessi “esposto sulle ombre” invece avrei avuto uno sfondo più chiaro, sul grigio, ma le zone delle alte luci completamente bruciate e sovraesposte.
Credo vi sia capitato spesso durante un tramonto di non riuscire a gestire l’esposizione perchè troppo chiara, questi consigli funzionano perfettamente in qualunque situazione in cui vi sia un controluce.

Qui potete osservare due esempi.

Ecco dei consigli pratici per approcciarsi ad un ambiente scuro in cui illuminare artificialmente:

- disattivate il flash perchè in caso scattasse rappresenterebbe una seconda fonte di luce oltre alla torcia che andrebbe ad illuminare violentemente le ombre appiattendo i toni di tutta l’immagine;

- scegliete un luogo privo di elementi di disturbo come porte, una bottigliera troppo vicina che crea riflessi strani, ma privilegiate sfondi neutri e compatti senza luci evidenti; 

- scegliete una fonte di luce facile da maneggiare, fatevi aiutare da un amico/collega e guidatelo nel posizionamento (provare a illuminare da diverse posizioni, per uno still life privilegiare la luce laterale e posteriore)

- fate attenzione alla temperatura colore delle luci, la luce della torcia deve essere l’unica fonte di luce principale, altrimenti potreste incorrere in problematiche relative a temperature di luce differente miscelate (situazione complessa);

- tenete la torcia abbastanza vicino, tra circa 50 cm e 1 metro, in modo da tenere una luce spot senza allargare troppo il cerchio di luce che deve rimanere concentrato;

- provate ad esporre in modo differente attraverso il cursore, sovraesponendo e sottoesponendo. 

Ci sono almeno altre due questioni fondamentali: la scelta dei colori e della composizione...

Alla prossima puntata!

 

Vanessa Vettorello

Vanessa Vettorello

Fotografa professionista. Collabora con magazine nazionali ed internazionali. Ha lavorato anche con Bacardi, Explora, BBDO, Slowfood, Cantina Gaja, Airbnb, Lenti e Compagnia dei Caraibi. È fermamente convinta che chi beve solo acqua abbia un segreto da nascondere.

Giuseppe Liotti

Salernitano, classe '78. Disegnatore autodidatta, si laurea in Scienze della Comunicazione e lavora come storyboard artist in campo pubblicitario e cinematografico, collaborando con registi come Matteo Garrone. Disegna serie a fumetti per i Sergio Bonelli Editore, Le Lombard, Glenat, Rue de Sevres).