Lo Yucatán è il Messico più colorato, più tranquillo, più facile.
Per la precisione: facile una volta che ci si arriva, dato che l’unica, vera sfida è il viaggio, ché dall’Europa transita da quel groviglio che è l’aeroporto di Mexico City, uno dei più incomprensibili del mondo.
Quando però riesci miracolosamente a raggiungere il terminal per le tratte interne, il gioco è fatto: via, si parte, Mérida, la Torino del Paese. Il paragone con la città italiana pare bizzarro, ma è pertinente: il Messico sa essere incasinato e intenso, tosto e rovente, magico e balneare – poco a est c’è Cancun, meta turistica di grande successo –, ma Mérida è gentile ed elegante, sicura e accogliente (infatti nel 2023 ha ospitato la cerimonia del premio The Best Chef, vinto da Dabiz Muñoz di Madrid, di cui abbiamo parlato qui sul blog).
Dunque, dicevamo, Mérida, terra dei Maya, poi conquistata dagli spagnoli, con la spada di Francisco Montejo de León, nell’anno del signore 1542. Gli spagnoli ancora si respirano nella Plaza Grande – al centro un ordinato giardino quadrato, la scritta “Mérida” colorata, apposta per i selfie – nella cattedrale di San Ildefonso, nel Palacio de Gobierno, in cui, enormi affreschi contemporanei ripercorrono la storia del paese partendo dal mito, o nella vicina Izamal, la “città gialla”, con il suo vasto monastero colorato d’ocra. Per sentire i Maya bisogna invece uscire dal centro, andare a visitare le rovine, ad esempio quelle di Uxmal (più che la piramide, molto ricostruita, sono affascinanti gli antichissimi edifici dalle decorazioni esoteriche). E per chi voglia viaggiare ancora indietro nel tempo, i luoghi più suggestivi in assoluto sono le cenotes, le innumerevoli grotte carsiche colme d’acqua dolce in cui, grazie a contemporanee accortezze turistiche, si può immergersi, balneare, farsi trascinare dalla corrente. Le più belle? Quelle dentro l’Hacienda Mucuyché, un tempo una grande azienda agricola dedica alla coltura dell’agave: ancora oggi ai visitatori vengono mostrate le antiche lavorazioni.
Agave qua significava il cordame che si otteneva intrecciando le fibre, ma, diamine, noi siamo arrivati in Yucatán per scoprire i gusti del paese, dunque per noi “agave”, vuol dire, prima di tutto, mezcal (e tequila, certamente). Il mezcal si beve ovunque, in purezza e miscelato, in Avenida 47 i cocktail bar contemporanei – niente dai invidiare alle capitali internazionali – si susseguono uno dopo l’altro. Ma per un goloso la cosa migliore è cominciare a sorseggiare un bicchiere mangiando un piatto in mezzo alla gente nei tanti mercati uno accanto all’altro nel centro di Mérida: San Benito, Santiago, de Artesianas… Non dimentichiamolo: quella messicana è la più importante cucina delle Americhe, non c’è paese del continente – da Nord a Sud – che non abbia attinto alla gastronomica di questo paese.
Il cibo di strada è una festa, gli stalli del mercato vendono enchiladas e ceviches, fritti e tacos, pollo pibil e lechon al horno, chicharron e queso relleno, poc-chuc ed enormi cocktail di gamberetti serviti in coppe grandi come palloni da calcio. La vera star locale però è la cochinita pibil, il maialino – normalmente servito nelle tortillas – che viene cotto sottoterra, come facevano i Maya (e come si fa anche da noi in Sardegna). Cochinita e cocktail sono fratelli: anche la parola “cocktail”, secondo una delle etimologie più accreditate, arriva proprio dal Messico (secondo alcuni, dal nome maya Cochtil, a causa di una storia romantica che vi invitiamo a scoprire). Dunque, cochinita e cocktail (base mezcal, naturalmente, al limite tequila) sono nati assieme, vanno consumate assieme. Nei mercati, nelle trattorie popolari – il popolarissimo Wayan’è, tavolini di plastica, tacos, tortas, profumi, la bibita tipica agua de chaya –, nei ristoranti tradizionali (come il bel Querreke) o in quelli contemporanei: il nostro preferito è Huniik di Roberto Solis, a pochi metri dal centro, un’interpretazione contemporanea della cucina yucateca personale, fresca e divertente. Anche qui non mancano né la cochinita né i cocktail.
¡Que viva Mexico!