Da quando scrivo per questo blog ho sempre affrontato tematiche molto tecniche: cosa significa scattare con il cellulare, la luce naturale ed artificiale, i formati in fotografia.
Come lo stile per il nuotatore è un modo per nuotare meglio e più velocemente, in fotografia la tecnica è sempre un mezzo per raggiungere uno scopo comunicativo.
“Quando scatto cerco un’immagine che piaccia prima di tutto a me e che poi comunichi qualcosa - racconta Mariachiara Montera - la fotografia deve avere una luce decente, una buona composizione, dei colori che funzionino, deve essere tecnicamente buona, ma quando costruisco un’immagine penso soprattutto all’emozione che vorrei ottenere”.
Mariachiara Montera è una delle persone esperte che ho coinvolto per parlare di comunicazione. La affianca Martina Franchini, direttrice de La Drogheria, storico cocktail bar di Torino. Ho scelto due personalità che lavorano in campi molto diversi per capire come utilizzano le immagini sui social.
Mariachiara è content creator, copywriter, consulente e podcast host. Sicuramente uno dei suoi temi ricorrenti è il cibo.
Conserve è la sua newsletter: la apprezzo perché è sincera, diretta, penso la rappresenti molto.
Le ho chiesto cosa pensasse di Instagram: “Su Instagram ci sono molte immagini che ricreano un immaginario lontano dalla vita reale. Le immagini ricercate funzionano molto bene perché catturano per intensità e capacità di farti uscire fuori dall’ordinario. Se ne parla da un po’ ormai, ma c’è un ritorno a delle foto più spontanee, c’è la voglia di qualcosa di più
naturale. Penso si sia rotto il meccanismo di Instagram credo in tutto quello che vedo”.
Negli ultimi anni c’è stata un’evoluzione nella comunicazione, i contenuti hanno lasciato la forma ingessata e sono sempre più diretti, anche grazie a strumenti come le stories.
C’è una ricerca maggiore di umanità e autenticità. Le persone hanno iniziato a comunicare in modo più generoso: “La fotografia costruisce relazioni. Per me fotografare il cibo, il vino, quello che vedi, quello che mangi in modo onesto e trasparente dice molto di te. L’immagine tanto costruita mi fa pensare alla grande azienda spersonalizzata e alla produzione di qualcosa in serie. Intrattiene, ma non racconta nient’altro. Voglio conoscere le persone, la vita reale, imparare qualcosa”.
Raggiungo Mariachiara mentre scatta a casa sua. Sono curiosa del suo processo creativo avendo un background molto diverso dal mio. Quando penso a qualcosa da fotografare, dentro di me si crea un’istantanea molto vivida, basta poco per generarla. È così che funziono. Così anche quando mi occupo di reportage scruto il mondo attorno a me, guardo la luce, le persone come si muovono, le loro espressioni; cambio angolo, mi abbasso, mi alzo per cambiare prospettiva e capisco esattamente cosa voglio cogliere. Ognuno ha i suoi modi.
Chiedo a Mariachiara quale sia il suo: “A volte ho un’idea in testa che non riesco a tradurre in immagine e vedere immagini di altri aiuta. Tradurre una poetica in fotografia, può essere molto frustrante, soprattutto quando si pensa di tradurre dei concetti.
L’immagine più efficace a volte è quella più semplice, per me la fotografia è fatta di tentativi, non essendo una fotografa professionista.”
Ne approfitto per chiederle cosa le piacerebbe vedere nel mondo dei cocktail bar:
“Gli account che seguo su Instagram non sono solo quelli che mi intrattengono, ma quelli che mi insegnano qualcosa. Non mi lasciano un desiderio frustrato, ma aggiungono un pezzetto di competenza o emotività al mio vissuto. Mi piacerebbe capire cosa c’è dietro un bar, la linea, perché alcune vengono preparate a mano, perché vengono utilizzati preparati industriali, perché vengono scelti alcuni sapori e combinazioni. Al di là di quello che potrei comprare, mangiare, mi piacerebbe conoscere le persone dietro un progetto o un locale. Molti anni fa ho fatto un corso da bartender - mi racconta Mariachiara - ogni lunedì sera per tre mesi, ero la più scarsa, facevo fatica a ricordarmi i cocktail, fatica a preparare la linea, la produzione contemporanea di più cose, però di quella cosa mi ricordo il lato più divertente di stare insieme, il lavoro davvero molto impegnativo che c’è dietro e che ti giustifica anche il prezzo del cocktail.”
La Drogheria, per chi ha la mia età, c’è praticamente da sempre. Aperta 7 su 7 è una sicurezza.
Un anno e mezzo fa il Bazar, una costola de La Drogheria in cui si fa vendita e degustazione, ha affiancato il cocktail bar. Il Bazar è in piena continuità con Drogheria a livello di stile, di staff e di sentimento, ripropone il tavolo conviviale in una versione più contenuta.
Incontro Martina al Bazar, sta sistemando le bottiglie appena arrivate.
Martina si occupa di tantissime cose, quando le chiedo di definirsi e di presentarsi, ha un attimo di difficoltà. La capisco, perché quando fa la stessa domanda a me anch’io arranco, mettere insieme i pezzi delle tante cose che facciamo è sempre difficile.
Martina è parte de La Drogheria da nove anni, coordina, si occupa della comunicazione e dell’immagine coordinata de La Drogheria, si capisce subito quanto la sua figura sia fondamentale all’interno della gestione.
Mi racconta la storia del cocktail bar e di com’è cambiato nel tempo: “Nel 2016 c’è stata la volontà di cambiare rotta. La Drogheria è riconoscibile, eclettica e ricca di umanità. L’identità è stata preservata, è quella che tiene viva da 20 anni La Drogheria. Il passo in avanti è stato sulla qualità, siamo ripartiti dalla miscelazione e dalla cucina, ad esempio sradicando l’idea dell’apericena che dieci anni fa a Torino era un must.”
La squadra è composta da circa 20 persone: “Il nostro staff è eterogeneo con personalità molto spiccate da integrare nel progetto. Facciamo spesso riunioni collettive e partecipate, sono momenti di raccolta, confronto e condivisione, spesso organizziamo anche momenti formativi. Cerchiamo di migliorare costantemente il nostro metodo, ma crediamo sia importante rispettare la libertà di espressione di ognuno per avere uno staff partecipe e vitale”.
Come trasmettere tutto questo con la comunicazione?
“Noi abbiamo messo in primis le persone. Collaboriamo con un’agenzia di comunicazione e un team di fotografi professionisti, nostri amici da tempo, che ci aiutano. Cerchiamo di non essere monotematici sui drink sui social, anche se occupano ovviamente una parte importante insieme alle tapas e al Bazar. La nostra priorità è raccontare lo staff e l’interazione con il cliente. A livello di comunicazione apprezzo la cura e la qualità sempre maggiore sui social rispetto anche solo a dieci anni fa. I cocktail bar si sono evoluti a 360 gradi su tutti gli aspetti. Un buon progetto ha un’identità molto chiara e non c’è bisogno di costruirci troppo attorno.”
La libertà è un concetto che viene confermato anche da Sergio Pisu, capo bartender de La Drogheria da quattro anni, ma con una lunga gavetta alle spalle: “C’è un bellissimo clima in brigata, ho smussato tanti lati del mio carattere. Cerco di non tarpare le ali a nessuno dei miei collaboratori e cerco di farli crescere. È uno scambio continuo e credo sia soprattutto dovuto alle persone che ci sono adesso qui.”
I menù in Drogheria cambiano ogni anno: “È un lavoro di squadra, ognuno porta la sua esperienza, i suoi spirits, i suoi sapori, unendo le ispirazioni di ognuno di noi, si cerca di dare un’eterogeneità al menù. L’armonia tra di noi è fondamentale”.